Ottobre 2021

X anniversario dedicazione nuova Chiesa omelia Mons. Paolo Oliva - 11 ottobre 2021

 

 

 

  Omelia Mons. Paolo Oliva "Papa Francesco: il grande devoto di Santa Teresita" - S. Messa - 01 ottobre 2021

 

La Comunità Parricchiale è in festa per la sua Patrona S. Teresa del B.G.. Partecipiamo con entusiasmo e con fede ai festeggiamenti in suo onore.

Don Paolo

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Maggio 2021

“… tirò fuori due denari e li diede all’albergatore” (Lc 10,35)

 Il mese di Maggio è caratterizzato nella liturgia quotidiana dalla lettura degli Atti degli Apostoli e dalla devozione popolare alla Mamma Celeste, Maria Santissima. Gli Atti degli Apostoli ci fanno rivivere l’entusiasmo del cristianesimo delle origini e ci educano al senso dell’appartenenza alla Chiesa nelle tre grandi dimensioni della preghiera in comune, della condivisione dei beni e della testimonianza a Cristo Risorto. La devozione alla Madonna ci aiuta a riscoprire la bellezza dell’infanzia spirituale e della confidenza nella Madre che sostiene i suoi figli nel loro cammino terreno e di essi parla sempre al Padre Celeste. Il nostro percorso pastorale, sostenuto dalla testimonianza del Buon Samaritano, ci sta formando ulteriormente al prenderci cura del prossimo. Nella vicenda della parabola evangelica il coinvolgimento del samaritano non è parziale, non è solo un aiuto momentaneo, ma è un intervento che coinvolge tutta la sua persona, la sua vita, mettendo a disposizione anche i suoi beni materiali. Lo ha condotto con la sua cavalcatura alla locanda per una cura più adeguata e risolutiva, e ora, “tira fuori due denari e li da all’albergatore”. Nella testimonianza del samaritano è tutta la persona a mettersi in gioco, con tutto ciò che ha. Trascura la tabella di marcia prevendo il ritardo sulla mèta da raggiungere, non teme di sporcarsi al contatto con le ferite del malcapitato, mette in conto anche le spese per la sua cura; non si è prefisso alcun risultato per sé, se non quello di soccorrere lo sconosciuto. Mi viene spontaneo soffermarmi sulla libertà interiore del samaritano, perché mi trovo di fronte ad una persona, pronta, aperta all’altro, noncurante di sé. Da lui promana un silenzioso ed eloquente afflato interiore: è una persona libera, non schiava di se stessa, né tantomeno dei suoi beni, che mette a disposizione degli altri. Qui è proprio il segreto: è libero, perciò dona se stesso, dona ciò che ha. Abbiamo bisogno di riflettere sull’attaccamento a noi stessi, alle nostre cose, ai nostri “beni” che non sono solo materiali, ma prima di tutto spirituali, relazionali, affettivi, culturali. Papa Francesco, nella “Fratelli tutti” ci sollecita a scoprire la bellezza della comune appartenenza alla grande famiglia umana e in essa la realizzazione del nostro io singolo e relazionale. Non è semplice enucleare in maniera sintetica la libertà interiore; certamente la sperimento nel modo in cui mi rapporto all’esterno di me: gli altri, la natura, il lavoro. È proprio in questo relazionarmi che vivo e sperimento la libertà, nel momento in cui mi pongo in atteggiamento contemplativo verso ciò che è fuori di me, ma che progressivamente scopro che già faceva parte di me. Il nostro tesoro è il nostro mondo interiore, che mettiamo fuori come lo scriba del Vangelo di Matteo: Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» Mt. 13,52. Tirare fuori evoca l’atteggiamento di chi prende tutto ciò che gli resta e lo rende condivisibile con il prossimo. Mi piace richiamare due figure femminili, presenti nella Sacra Scrittura che testimoniano la loro profonda libertà interiore e la capacità di accoglienza e di cura del prossimo. La prima, Rut, nuora di Noemi …”Se lo caricò addosso e rientrò in città. Sua suocera vide ciò che aveva spigolato. Rut tirò fuori quanto le era rimasto del pasto e glielo diede” Rt. 2. La seconda, la vedova di Sarepta di Sidone, a lei il profeta Elia chiede da bere e un pezzo di pane. «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo» 1Re 17,10-16. Impariamo anche noi a tirare fuori ciò che di bello e di grande è in noi mentre ci prendiamo cura di chi ci sta vicino.

Fraternamente, nella gioia di Cristo Risorto

Don Paolo

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Aprile 2021

… e si prese cura di lui. (Lc 10,34)

 Il nostro cammino quaresimale in salita verso Gerusalemme ha raggiunto la mèta. Ora ci attendono gli avvenimenti della grande Settimana dell’Anno Liturgico: la Settimana Santa! L’immenso tempio del cosmo con al suo centro l’altare della Croce sostituisce il tempio di Gerusalemme e si trasforma nel grande “ospedale da campo” in cui Dio si prende cura dell’umanità. Il Samaritano dell’umanità esterna la sua volontà di salvezza in un orizzonte liturgico in cui la guarigione dell’uomo dal peccato diventa il più alto gesto di culto che si possa immaginare: Gesù, sacerdote e vittima, si offre al Padre per condurre gli umani nella nuova relazione don Dio, quella della figliolanza adottiva. Mirabile opera di cura dell’umanità! La più grande opera dei mirabilia Dei, prima la creazione ora la redenzione. Nella sua Pasqua di morte e di resurrezione, Gesù Cristo si fa medico, farmaco e “ospedale” in cui si compie il mistero della salvezza. Mai come nell’evento della Pasqua ci vien chiesto di non essere spettatori, ma di condividere la sofferenza di Cristo, il dono di sé, di accogliere l’azione della Grazia, perché il Risorto vuole fare di noi i protagonisti della nuova umanità percorrendo la stessa strada che da Gerusalemme va a Gerico. Prendersi cura dell’altro, del prossimo, è la modalità concreta di partecipare la novità della Pasqua. L’aver cura non si limita al solo aiuto immediato, o alla presentazione di un ricettario, in cui è scritto di fare questo o di non fare quello, ma implica un coinvolgimento che nella vita dell’altro che non è un estraneo, ma è uno che mi appartiene. Il prendersi cura si spalma su ogni ambito della vita, da quello relazionale-affettivo, a quello spirituale e morale, a quello sociale e materiale. Matureremo in questa consapevolezza e nel conseguente stile vita nella misura in cui cresceremo come “fratelli tutti”. Sant’Agostino distingueva la condizione della malattia da quella della infermità. Egli parlava dell’infermo come della persona “non ferma” mentre del malato della persona provata dal morbo. Tutti siamo nella condizione di non fermezza, per questo la prima cura riguarda la cura di sé per vivere in uno stato di vero e integrale benessere. Riscoprire la bellezza del silenzio e della meditazione per rafforzare la propria interiorità; dedicare tempo alle relazioni interpersonali sviluppando capacità di ascolto e di dialogo; approfondire le sfide culturali del nostro tempo accogliendo le istanze delle nuove tecnologie. Da persona “inferma” a persona ferma, cioè fondata, radicata nei valori della vita, della fede, della fratellanza, aperta e solidale. La Pasqua del Risorto, quest’anno, ci fa vivere ancora nell’esodo, dalla paura, dalla fragilità, dalla morte per la pandemia nella speranza della vita nuova e della nuova libertà, quella vera, vissuta nella fraternità universale. Questo mese ci immerge nella primavera della natura, impariamo dal mondo fisico a far crescere i semi della bontà portarli a maturazione; un esercizio che può aiutarci a superare la deriva nella pigrizia, nella passività: tentazioni frequenti in questo nostro tempo. Alla settimana della Passione succede la settimana della Luce, che promana dalla tomba vuota, segno della Resurrezione, lasciamoci invadere da questa Luce, colpiti come Paolo sulla strada di Damasco per dare inizio ad una vita da risorti.

Buona Pasqua, carica di speranza e di amore!

Don Paolo

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Domenica delle Palme 2021

Vi invito alla meditazione per la domenica delle Palme

Pubblicato da S Teresa del BG su Giovedì 25 marzo 2021

Domeniche di Quaresima 2021

Gv 12,20-33 ... se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto....

Pubblicato da S Teresa del BG su Domenica 21 marzo 2021

Gv 3,14-21 In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia...

Pubblicato da S Teresa del BG su Domenica 14 marzo 2021

Gv 2,13-25 «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».

Pubblicato da S Teresa del BG su Domenica 7 marzo 2021

Mc 9,2-10 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro...

Pubblicato da S Teresa del BG su Domenica 28 febbraio 2021

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Mc 1,12-15

Pubblicato da S Teresa del BG su Domenica 21 febbraio 2021

Marzo 2021

… poi lo caricò … lo portò in un albergo.. (Lc 10,34)

 Nell’impegnativo cammino quaresimale di conversione assume un significato straordinario il gesto del prendersi cura del fratello. Il Buon Samaritano della parabola evangelica si mette completamente in gioco con il malcapitato; non si limita a prestare il primo soccorso, ma mette in atto un processo di intervento integrale: carica sulla propria cavalcatura il sofferente e lo porta in albergo. Ci chiediamo cosa spinge a tanta cura verso il bisognoso, perché tutto questo verso uno sconosciuto, probabilmente non appartenente alla sua etnia? Noi ci poniamo tali interrogativi, il samaritano, invece, non pensa, agisce, non si interroga, opera concretamente. C’è una spiegazione ed è il sentimento primordiale da lui avvertito: all’origine c’è la compassione, l’immedesimarsi nella sofferenza, l’entrare in empatia con il bisognoso. E qui scatta la molla della solidarietà, della condivisione: mettere a disposizione i propri beni, se stessi, offrire il meglio di sé. Nella vita non mancano le sorprese, le “soste forzate” che si rivelano occasioni di grazia: il Signore ci chiama a farci strumenti della sua misericordia e a porre gesti e comportamenti di carità non programmata. Tale “sosta forzata”, in questo tempo di Quaresima, insieme al guardare all’altro, ci sollecita a guardarci dentro, e a interrogarci sul senso della nostra vita e sulla rotta che abbiamo impostato per il nostro viaggio. Finalmente comincio a comprendere la necessità del prendermi cura di me stesso, non solo della salute fisica, ma soprattutto del benessere spirituale e relazionale. Non trascurare queste occasioni, né perdere tempo o impiegarlo per attività secondarie. Ogni azione, dalla più semplice, naturale o scontata, deve essere impregnata di contemplazione: capacità di vedere la presenza di Dio nella trama più piccola della ordinarietà quotidiana. Richiede un allenamento spirituale, fatto di esercizi semplici e costanti in maniera tale che ogni gesto, ogni avvenimento diventi intensificazione dell’esercizio spirituale e nello stesso tempo costatazione del proprio progresso spirituale. Questo è il senso del farsi carico, che trova nell’ “albergo” il luogo della cura per la guarigione completa: la Chiesa, la comunità cristiana è l’albergo in cui si fa l’esperienza dell’accoglienza, della condivisione, della guarigione, della ripresa. Viviamo così questo tempo di Quaresima nella ricerca dell’essenziale, nella sobrietà dei costumi, specialmente nelle relazioni interpersonali. Prendiamoci cura di noi stessi e degli altri. Apriamo gli occhi alla primavera dello Spirito che ci vuole protagonisti di una nuova umanità che possa guardare i cristiani come coloro che, avvinti dall’amore del Signore, sanno trasmettere fiducia e speranza e si impegnano concretamente a realizzare la “civiltà dell’amore”.

Con la forza delle fede saliamo verso Gerusalemme!

Don Paolo

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Febbraio 2021

 ”Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore…” l’invito di don Bosco sollecita ognuno di noi, chiamato ad essere guida per chi ci sta vicino, per chi ci viene affidato, in altri termini, essere educatore; senza il coinvolgimento personale non si dà azione educativa. È questione di cuore, perché con l’educazione continua la generazione della persona. Come la vita umana è concepita e si sviluppa nel grembo materno, così la persona cresce e giunge a maturità nel grembo dell’azione educativa. Papa Benedetto XVI richiama la verità pedagogica fondamentale: l’orizzonte dell’educazione è la reciprocità del dono: “Ma ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore.” L’educazione non è solo un ‘intervento esterno sulla persona, ma è prima di tutto esigenza interiore della persona di rivelarsi, di farsi conoscere, di realizzarsi; per questo, ognuno di noi è educatore di se stesso nella misura in cui si prende cura di sé, della propria interiorità, della propria relazionalità, così potrà essere educatore, cioè stimolatore, dell’altro. Si comprende, pertanto, che l’educazione è questione di cuore, perché parte e si attua nel centro vitale della persona, rappresentato simbolicamente dal cuore. Gli Orientamenti Pastorali della CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, sono provvidenziali perché collocano la persona nel suo baricentro esistenziale, riportandola alle verità semplici. Meditiamo questo testo biblico, scoprendo la bellezza della fiducia riposta da Gesù nei suoi discepoli, in noi, dal momento che ci chiede di prenderci cura di chi ci sta vicino. Accogliamo l’anno che si apre davanti a noi come dono di Dio e come opportunità di crescere nella vita cristiana, imparando a prenderci cura: è questo il messaggio che Papa Francesco ci consegna nella Giornata mondiale per la Pace: favorire la cultura della cura, del creato, la casa comune, e dei fratelli e della sorelle che ci vivono accanto.

Don Paolo

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Gennaio 2021

“Gli si fece vicino” (Lc 10,34)

 Con grande gioia, espressione della nostra fede nel Bambino Gesù nato a Betlemme, continuiamo il nostro percorso personale e comunitario, soffermandoci a contemplare e a meditare l’icona biblica del buon Samaritano. Il dottore della Legge aveva posto a Gesù una domanda: chi è il mio prossimo?. Ora inizia a configurarsi con una tecnica coinvolgente e non assiomatica fatta di parole e argomentazioni, ma una risposta avvalorata da comportamenti. Possiamo pensare così: il prossimo è colui che si fa vicino; colui che, avendo un cuore accogliente, non cammina distratto per la sua strada, ma si accorge di tutto ciò che accade intorno e si avvicina, spinto non dalla curiosità, ma dal desiderio di farsi “aiuto” a chi è in uno stato di necessità, di fragilità. Chi parla nel vangelo di Luca, il Maestro Divino, in prima persona si fa vicino ad ogni uomo, in ogni sua necessità, spirituale e materiale. Abbiamo contemplato in questi giorni il mistero del Natale, dell’incarnazione del Figlio di Dio, abbiamo toccato con mano che è Gesù a venire a noi perché noi non possiamo andare a Lui. Proprio di Gesù, gli Evangelisti evidenziano il suo farsi vicino agli uomini in ogni loro situazione di vita. Ai due discepoli che tornavano a Gerusalemme, delusi per quanto era accaduto a Gesù di Nazareth, il Risorto si fa loro vicino per condividere la strada e soprattutto per trasformare la loro delusione in esperienza di vita nuova. “Mentre parlavano e discutevano, Gesù si avvicinò e si mise a camminare con loro”(Lc. 24,15). E’ meraviglioso il farsi vicino del Risorto alla Chiesa, ai suoi discepoli; i testi del Vangelo sono per noi, oggi, l’annuncio di grazia della presenza di Cristo nella nostra vita. Di essa non dobbiamo mai dubitare, anche quando sperimentiamo il silenzio, l’incomprensione, perché il Signore in maniera sorprendente e sempre nuova ci stupisce della sua presenza, come è avvenuto lungo il mare di Tiberiade con gli apostoli, che dopo la risurrezione ritornano in Galilea al loro mestiere di pescatori, non avendone compreso ancora la forza propulsiva per la nuova missione, con essi ripete il gesto dell’Ultima Cena. “Gesù si avvicinò, prese il pane e lo distribuì; poi distribuì anche il pesce”(Gv.21,13). Ai tre discepoli sul monte alto, spaventati dalla Gloria del Cristo trasfigurato: “Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: 'Alzatevi! Non abbiate paura!”(Mt. 17,7). Mentre si avvicina, Gesù stabilisce sempre un contatto che evoca la sua intima unione con l’umanità. Testimonianza mirabile è la resurrezione del figlio della vedova di Nain: “Poi si avvicinò alla bara e la toccò: quelli che la portavano si fermarono”(Lc. 7,14). In questo testo vi è l’annuncio della salvezza totale: Gesù, si ferma, si commuove, si immedesima nel dolore, rivela l’unità con l’uomo manifestata nel contatto, dà la vita, dona la gioia e la speranza. Nel racconto lucano del buon Samaritano il farsi vicino al malcapitato dà concretezza ai sentimenti fino a quel momento provati, la loro verità si manifesta in gesti concreti che dicono tutto l’affetto e la stima, la disponibilità a compromettersi, a dare una nuova tabella di marcia al proprio cammino, a impegnarsi di persona, a perdere qualcosa. Meditiamo questo testo biblico, scoprendo la bellezza della fiducia riposta da Gesù nei suoi discepoli, in noi, dal momento che ci chiede di prenderci cura di chi ci sta vicino. Accogliamo l’anno che si apre davanti a noi come dono di Dio e come opportunità di crescere nella vita cristiana, imparando a prenderci cura: è questo il messaggio che Papa Francesco ci consegna nella Giornata mondiale per la Pace: favorire la cultura della cura, del creato, la casa comune, e dei fratelli e della sorelle che ci vivono accanto.

Don Paolo

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02 Gennaio 2021 - ore 17.30

Santa Messa in suffragio

Del Prof. Giuseppe DALLA TORRE

 

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Presidente del TRIBUNALE dello Stato della CITTA’ del VATICANO

Rettore della LUMSA

Luogotenente Generale dell’Ordine Equestre “Santo Sepolcro”

Gli ex-Studenti Tarantini

DIRETTA STREAMING

Natale 2020

Dicembre 2020

… ne ebbe compassione … (Lc 10,33)

Nella compassione si raggiunge il vertice della rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità. Nell’esperienza umana, la compassione evoca un sentimento per il quale una persona percepisce anche emozionalmente la sofferenza altrui, tanto da farla propria perché desidera fortemente alleviarla. La compassione, nel suo etimo originario, indica la capacità di sentire l’altro entrando in empatia con tutte le sue situazioni problematiche. Il Vangelo ci offre uno spaccato unico della compassione, nell’atteggiamento di Gesù verso ogni forma di sofferenza dell’umanità, sia essa spirituale, sia materiale. Quando diciamo che Dio è misericordioso, ci imbattiamo nella più alta rivelazione del suo amore; quando pensiamo alla compassione di Dio, siamo di fronte alla concreta e storica rivelazione del suo amore per noi. Guardiamo alla compassione di Gesù verso l’umanità sofferente: essa manca del cibo materiale, manca del cibo spirituale, manca della felicità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. (Mt 9,36) Gesù soffre perché l’umanità ha bisogno di guide sicure che la orientino alla verità. È la grande sofferenza perché senza la verità non si comprende il significato della vita e la motivazione dell’agire. Il “per chi” e il “per cosa” muovono l’agire umano, e questo accade quando si comprende la verità che vi è sottesa. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». (Lc 7,13). Di fronte alla morte e al dolore di una madre, la compassione di Gesù è grande, perché Dio ha creato l’uomo per la vita, per questo piange davanti al sepolcro dell’amico Lazzaro; il miracolo della restituzione alla vita anticipa la pienezza della vita con la resurrezione finale. Sono proprio le situazioni concrete che sollecitano la compassione di Gesù: la fame, (Mt 15,32), la salute fisica,(Mt 14,14, 20,34) il recupero della dignità (Mc 1,41 e Mt. 18,27). Il buon samaritano ha compassione del malcapitato e tutti i suoi atteggiamenti manifestano il suo desiderio di offrire l’aiuto come espressione di condivisione della sofferenza: non una condivisione retorica, fatta di parole, di dispiacere, ma una condivisione autentica cui seguono azioni concrete che richiedono il fermarsi, il ritardare la propria tabella di marcia, il prendersi cura. Alla giusta risposta del dottore della legge, Gesù lo esorta: “Va’ e anche tu fa così” (Lc. 10,37). In questo tempo liturgico di Avvento e in preparazione al Santo Natale, proprio quest’anno, non mancano le occasioni per essere compassionevoli. Viviamo questo tempo facendo nostro l’invito di Gesù perché il Natale, espressione massima della compassione di Dio per l’umanità, ci trovi pronti e operosi nel dare sollievo alle sofferenze di chi ci sta vicino.

Auguro a tutta la Comunità e a ciascuno un buon cammino di AAvvento e un Santo Natale!

Don Paolo

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Novembre 2020

Invece un samaritano, che era in viaggio, vide… (Lc 10,31)

Continuando il nostro immergerci nella Parola, in questo mese di novembre, ci soffermiamo a meditare l’icona biblica del buon samaritano, nell’espressione verbale “vide”. A primo acchito, mi viene da pensare a colui che viene attirato da qualcosa di straordinario e ed esprime tutto il suo interesse, fermandosi a vedere, a rendersi conto, ad interessarsi dell’accaduto. L’atteggiamento di chi ha interesse di ‘vedere’ evoca un animo aperto, un cuore accogliente, un pensiero panoramico. Non si domanda: chi è, da dove viene, a quale famiglia appartiene, che religione professa. Interrogativi che non sono la sua prima preoccupazione, vuole vedere e basta. Ma ci chiediamo: cosa lo motiva a fermarsi e a vedere? Credo un senstimento primordiale che accomuna tutti gli uomini: la consapevolezza della fragilità di cui ogni essere umano è impregnato. Potevo trovarmi io al suo posto e aver bisogmo di aiuto, sarà stato questo il movente che lo spinge a ‘vedere’. Troviamo tanti testi biblici, Antico e Nuovo testamento, che utilizzano l’espressione verbale: vedere. Ne citerò alcuni, presenti nel Vangelo di Giovanni che ci aiutano ad approfondirne il significato e meglio comprendere lo spirito del buon samaritano che può dare vita in noi ad uno stile di relazione nuova con il prossimo. Nel quarto vangelo il verbo ‘vedere’ esprime il desiderio di incontrare, di conoscere, di fare l’esperienza dell’altro. Un’esperienza che non è solo conoscenza, ma è un’esperienza vitale, coinvolgente. Si incontra, si vede, per condividere. Una condivisione che diventa giudizio sulla propria esistenza e motivo esistenziale di cambiamento. Questo avviene per i primi discepoli, Andrea e Giovanni, lo sconosciuto, indicato dal Battista, diventa la novità sorprendente tanto da rimanere con lui. “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove dimorava e quel giorno rimasero con lui;” Gv. !,39. L’incontro, il coinvolgimento, implica un movimento, uscire da sé e andare verso. Il buon samaritano vive la dimensione di movimento, per questo “vide”. Il movimento è preceduto da un desiderio, spesso inespresso, ma che mette in moto la persona. “…si avvicinarono a Filippo e gli domandarono: Signore, vogliamo vedere Gesù. Gv. 12,21. Il vedere implica anche l’approcciò alla verità. Nell’incontro la scoperta della propria verità, come avviene nell’incontro di Gesù con la donna di Samaria. “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto”Gv. 4, 29. Il buon samaritano “vide”, si lascia chiamare in causa, esprime tutto il suo desiderio di vivere pienamente la propria umanità come occasione di far rifiorire l’umanità dell’altro, depauperato, immiserito nella sua umanità, offesa, calpestata, violentata. Il suo è un vedere “interessato”, non scontato, superficiale, ma trasformante, ricreante.

Continuiamo il nostro cammino.

Don Paolo

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Ottobre 2020

«…passandogli accanto» (Lc 10,33)

R iceviamo come dono della paternità di Dio questo nuovo anno pastorale, aprendo il nostro cuore a ciò che accade nella nostra vita personale, nella vita della nostra comunità cristiana: un fiume sempre più grande e travolgente dell’amore di Dio. Ci ispiriamo alla meravigliosa parabola del buon samaritano perché sulla via che va da Gerusalemme a Gerico, via che oggi chiamiamo Via della Misericordia, vogliamo ritmare in tre movimenti intimamente uniti e connessi la nostra vita diocesana.(Mons. Filippo Santoro, Omelia del 12 settembre 2020). L’icona del buon samaritano ci accompagnerà lungo tutto il corso dell’anno pastorale e mensilmente rifletteremo su un comportamento, un’azione del samaritano nei confronti del malcapitato. Il testo biblico è ricco di verbi, tanto che in appena due versi sono racchiusi ben dodici verbi che esprimono tutto il dinamismo dell’agire del samaritano. Andiamo subito oltre la parabola e pensiamo alla posizione in cui possiamo collocare la nostra esperienza; sono diversi i personaggi indicati da Gesù: il malcapitato, i briganti, il sacerdote, il levita, il samaritano l’albergatore; quante domande sorgono a secondo della circostanza considerata. Meditiamo ogni mese su tutta la parabola e soffermiamoci sull’azione indicata come oggetto di riflessione. Un samaritano era in viaggio: nessuna identità, nessun nome, solo una persona in movimento, indicatore simbolico del cammino della vita. La vita è un cammino, un mettersi in cammino; andare per forza di inerzia, senza una mèta, camminare nella consapevolezza di essere su una strada avendo chiara la mèta! Notiamo la prima azione del samaritano: “passandogli accanto”, un movimento occasionale che si trasforma in un’opportunità di vita, una possibilità di vita. Vivere è cogliere le continue sorprese, avere lo sguardo a 360° su ciò che ci circonda, accorgersi di quanto accade intorno, con l’occhio penetrante di Balaam, figlio Beor (Nm 24,15). L’uomo, ancor più, il cristiano non cammina con i paraocchi, guardando solo in una direzione, ma tutto ciò che incontra sulla strada, lo interessa, richiama la sua attenzione. Nel passare accanto si comprende la maturazione del vivere la prossimità. La parabola in esame trova nella prossimità la sua chiave di lettura e sollecita una profonda riflessione. Essa ci interroga, ci pone delle domande: l’indifferenza o l’attenzione caratterizza il mio guardare intorno; il correre o l’opportuno sostare modula il mio cammino; lo sfrenato individualismo o la percezione dell’altro da significato al mio andare … All’inizio del nuovo Anno pastorale, nel tempo della pandemia siamo invitati a focalizzare l’essenziale, l’irrinunciabile, ciò che è veramente prioritario e fondamentale per la mia vita e risponde alla domanda prima. Chi sono, qual è il senso della mia vita, dove vado, perché il disincanto, la disillusione della presunta onnipotenza umana e tanti altri interrogativi. È quanto mai opportuno rimotivare la propria fede, ritrovare nuove ragioni al mio credere in Dio, alla mia appartenenza alla Chiesa. È necessario un incontro nuovo con Cristo, il Risorto, il Samaritano dell’umanità. E’ nell’io cristiano, cioè, nella nuova relazione con Dio, che si realizza la ricomposizione armonica delle relazioni umane: personali, sociali, culturali, economiche. Non nell’individualismo, ma nel “singolo” radicato nella Parola, che si sprigionano i vettori delle relazioni positive e costruttive. È il tempo della rifondazione dell’esperienza cristiana, sia del singolo che della comunità. Sono già presenti i semi per la nuova semina dell’annuncio evangelico. I sacerdoti della nostra comunità sono lieti di essere chiamati a sostenervi in questa opera di rifondazione della fede. Affidiamo alla preghiera di intercessione della nostra Santa Teresa del B.G. i nostri desideri, i nostri propositi, il nostro nuovo cammino di vita cristiana.

Buon Anno Pastorale!

Don Paolo

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Festeggiamenti S. Teresa B.G. 2020

Don Paolo

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Ripartono le attività parrocchiali

Don Paolo

Supplica alla Madonna di Pompei

a cura di Mons. Paolo Oliva

Santa Messa domenicale

Diretta streaming delle celebrazioni

A causa dell'emergenza sanitaria che tutti viviamo ed in ottemperanza alle disposizioni emanate dal Governo per contrastare il diffondersi del COVID-19 in Italia, le funzioni religiose, sino a nuova disposizione, saranno officiate rigorosamente a porte chiuse ed alla esclusiva presenza dei celebranti.

Per dare la possibilità a tutti di partecipare alla santa messa la celebrazione domenicale delle 10.00 sarà sempre trasmessa in diretta streaming sia sul sito della parrocchia sia sulla pagina fecebook della stessa.

Nella speranza di porterci incontrare nuovamente nella nsotra comunità vi invitiamo alla preghiera utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione che la tecnologia mette a disposizione.

Maggio 2020

“Partirono senza indugio…” (Lc. 24,32-35)

Tempo liturgico di Pasqua, tempo della gioia, tempo della missione, tempo della testimonianza. “Non ardeva forse in noi il nostro cuore…”(v.32). Nel tempo che viviamo, parlare di gioia può risultare strano; ma a ben riflettere viviamo un tempo provvidenziale che ci aiuta a comprendere che la gioia cristiana ha un fondamento diverso dalla gioia comune. Questa si identifica spesso con il benessere, la salute, il godimento di piaceri di vario genere e così discorrendo… La gioia cristiana è di altro genere; essa è vissuta nella consapevolezza della presenza del Risorto nella propria vita, nell’esperienza dell’orientamento e del significato nuovo della propria esistenza, nell’esauriente risposta alle domande di senso. Guardate i due discepoli sulla strada verso Emmaus di ritorno da Gerusalemme: fallimento, sconforto, delusione! Tutto inutile! Solo parole, senza corrispondenza reale! Dalla illusione alla delusione! Eppure, non è così: il viandante tocca le corde del loro cuore, riscalda la loro interiorità, aziona il motore nascosto di avviamento. Prende spazio la gioia, il godimento interiore, per una presenza nuova, diversa, coinvolgente che si vuole trattenere perché duri nel tempo. “Rimani con noi”, accetta l’invito e resta con loro a tal punto che essi diventano la nuova modalità della sua presenza nella storia. Continuerà a camminare con loro, per essere la loro vita, la loro speranza; per questo, “Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme…” (v.33). E’ la missione! Non si può rimanere fermi, inattivi, quasi compiaciuti di un asteroide visto passare vicino senza lasciare traccia di sé. Partire è la risposta alla gioia vissuta, alla gioia bisognosa di essere partecipata, condivisa. Cristo Risorto trasforma la nostra vita, la sua vita comunicata a noi e alimentata attraverso i sacramenti genera in noi un moto di passione interiore perché desideriamo comunicare “quello che abbiamo visto e udito, quello che le nostre mani hanno toccato”. E’ proprio così! L’amore, anima della missione, spinge al dono di sé, mette in movimento grazie ad una forza sprigionante dal suo intimo. Tutto ciò è spiegato dall’espressione ‘senza indugio’, non si può perdere tempo; c’è qualcosa di grande, di unico, di irrepetibile che va comunicato, annunciato, donato: la presenza del Risorto! La missione continua fino alla fine dei tempi e si colora delle tante modalità della testimonianza: annuncio, servizio, carità. “e narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane…” (v.35). San Paolo VI aveva compreso che il mondo prima ancora di maestri aveva bisogno di testimoni. Quasi a dire che nella Chiesa, nel Popolo di Dio, ogni presenza, ogni servizio, è vero, autentico, solo nella misura in cui è testimonianza del Risorto. Siamo nel mese di maggio dedicato a Maria Santissima, discepola del Signore, serva dell’Amore, portatrice della Grazia. Con tante invocazioni ci rivolgiamo a Lei, invocando la sua materna intercessione e protezione, e con umiltà desiderosi di imitarLa nella sua testimonianza nell’opera dell’evangelizzazione e del servizio generoso verso i fratelli.

Fraternamente, nella gioia di Cristo Risorto

Don Paolo

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Settimana Santa 2020

Diretta streaming delle celebrazioni

A causa dell'emergenza sanitaria che tutti viviamo ed in ottemperanza alle disposizioni emanate dal Governo per contrastare il diffondersi del COVID-19 in Italia, le funzioni religiose della Settimana Santa 2020, saranno officiate rigorosamente a porte chiuse ed alla esclusiva presenza dei celebranti.

Questo non vuol dire che non potremo vivere questo periodo con la fede e la passione di sempre... per questo tutte le celebrazioni di seguito elencate saranno trasmesse in diretta streaming sul canale facebook della parrocchia.

05 Aprile - Domenica delle Palme - Ore 10.00 - Santa Messa e commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme

09 Aprile - Giovedì Santo - Ore 18.00 - Messa in Coena Domini

10 Aprile - Venerdì Santo - Ore 18.00 - Celebrazione della Passione e Adorazione della
Croce

11 Aprile - Sabato Santo - Ore 19.00 - Veglia di Resurrezione

12 Aprile - Domenica di Pasqua - Ore 10.00 - Santa Messa

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Aprile 2020

"anch’io ho mandato loro nel mondo” (Gv. 17,18)

Entriamo nel vivo della grande Settimana dell’Anno Liturgico: la Settimana Santa! Il grande tempio delle celebrazioni quest’anno sarà il cuore di ogni credente e di tutta l’umanità che anela a risorgere e a incontrare i testimoni della vita nuova: il grande dono del Risorto. Lasciamoci provocare dalle parole del nostro Arcivescovo, con le quali ci approcciamo alla terza parte dell’anno pastorale. “L’ultimo punto riguarda sempre l’azione missionaria intesa come annuncio, e quest’anno è accompagnato dal termine passione che ha in sé un ventaglio di significati. Il primo: l’annuncio ha in sé la passione di Cristo, nella ricchezza della sua croce e risurrezione, che è tutto ciò che ci muove e ci motiva. In seconda istanza, la passione indica l’ardore missionario. Non ci muovono passioni spente o tristi, ma siamo travolti dal desiderio di annunciare Gesù. C’è un solo scopo di tutto, lo scopo stesso di Gesù: glorificare il nome del Padre. «Come tu, o Padre, hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo» (Gv 17,18)”. Nell’Ultima Cena Gesù invia i suoi nel mondo a continuare la sua missione. Paradossalmente in questo Triduo Pasquale i discepoli di Cristo sono già nel mondo e con la loro presenza e testimonianza rendono viva e attuale la resurrezione di Cristo. Noi sacerdoti celebriamo la Santa Liturgia con la consapevolezza della fede che quanto non è visibile rimane ancora più efficace, perché costituisce la radice, la linfa vitale, la forza della missione. Mandati a dire a tutti quello che abbiamo visto udito! Abbiamo incontrato l’Amore di Dio che si dona all’umanità fino al dono totale di sé: Cristo muore in croce per noi. Le nostre tradizioni religiose, che narriamo ai nostri piccoli, sono il veicolo comunicativo più semplice per fare memoria della passione del Signore. Abbiamo incontrato l’Amore di Dio che con il suo Spirito fa del Risorto l’inizio della vita nuova; lo ha detto Maria di Magdala di ritorno dal sepolcro vuoto. Abbiamo incontrato l’Amore di Dio che si fa pane spezzato nell’Eucarestia e, come i discepoli di Emmaus, infonde in noi l’ardore per la missione: invitare tutti, nessuno escluso, a condividere i doni del Risorto. Viviamo ogni giorno della Settimana Santa, facendo nostro il suo significato e partecipandolo a chi ci sta vicino e chi avviciniamo attraverso i social. Scambiamoci un gesto di pace nel giorno delle Palme. Mettiamo in atto un gesto concreto di solidarietà verso chi è nel bisogno materiale il Giovedì santo. Rendiamoci prossimo con la consolazione verso chi vive l’esperienza della sofferenza e del dolore il Venerdì santo. Contempliamo nel silenzio della meditazione il grande mistero della vita il Sabato santo. Gridiamo a tutti la gioia della resurrezione del Signore, la Domenica di Pasqua. In questi giorni teniamo fisso il nostro sguardo al Crocifisso; utilizzate, se potete, il sitoweb della nostra Parrocchia e troverete le immagini di Gesù crocifisso, come anche quelle dell’Altare della reposizione del giovedì santo, vi aiuteranno nella preghiera e faciliteranno la vostra partecipazione spirituale alle celebrazioni liturgiche che saranno trasmesse via streaming. La comunione e l’amicizia superano ogni limite fisico e fanno vivere il mistero nella pienezza della sua realtà mistica! Impariamo a vivere intensamente e con grande fede da Maria SS.ma che segue la passione del Figlio, nel silenzio, lungo il ciglio della strada dolorosa, sotto la croce Lo riabbraccia e Lo attende nella fede e nella speranza risorto.

Buona Pasqua, ricca di speranza e di amore!

Don Paolo

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Marzo 2020

… perché vedano le vostre opere buone … (Mt. 5,16)

Ci inoltriamo nel tempo liturgico della Quaresima, con la mèta davanti a noi: la Pasqua di Resurrezione, la vittoria del Risorto. In questo percorso siamo sollecitati dal nostro Arcivescovo a meditare e a fare l’esperienza della Chiesa come luogo della vittoria. Il gruppo dei discepoli, sempre con Gesù, sembra abbandonarlo nel momento cruciale della sua esistenza terrena: la passione e la morte. Quel gruppo, che è la Chiesa nascente, chiamato a continuare la sua opera, non ha ancora compreso il passaggio obbligato della passione e della morte per partecipare alla sua missione. Sono rimasti in pochi: Maria, la Madre, Giovanni, il discepolo prediletto, Maria di Magdala e altre donne. Sì, questo sparuto gruppo è vicino al Crocifisso e col silenzio contemplativo entra nel buio della morte, sostenuto dalla fede e dalla speranza della Madre. Sta nascendo la Chiesa, che vedrà la luce del Risorto, dono perenne del suo essere comunità di salvati. Qui si tocca con mano la vittoria del Risorto! In essa, attraverso il Battesimo è proclamata la morte al peccato e la vita nuova. Come si manifesta la vittoria: 1. Nella nuova relazione col Padre: non sei più schiavo del peccato, ma figlio ricreato nel suo abbraccio misericordioso. Il tuo essere ed operare riceve una direzione nuova: la sua traiettoria è lanciata verso il Regno, destinazione ultimo del tuo esistere. 2. Nella scoperta di una fraternità universale, molto più grande di quella parentale, nell’assunzione del servizio reciproco come modalità relazionale che la sua differenza da ogni altro gruppo umano. Nell’accoglienza dell’altro, con il quale condividere la vittoria, perché non c’è più “schiavo o libero” , europeo o terzomondiale, cittadino o migrante, ma tutti “uno” nell’amore dell’unico Dio, Padre di tutti. 3. La Chiesa, luogo della vittoria, in cui nell’accoglienza e nel servizio reciproco si eliminano le differenze, si cancellano i pregiudizi, si vincono i rancori; luogo della vittoria, dove tutti nella corresponsabilità vissuta si adoperano nel porre gesti concreti di solidarietà e di giustizia incipiente, nel diventare per gli altri luce che illumina e orienta al bene comune. Viviamo questo tempo di Quaresima nella ricerca dell’essenziale, nella sobrietà dei costumi, specialmente nelle relazioni interpersonali. Accogliamo l’invito ad una preghiera più assidua e alla riflessione sulla Parola di Dio per ridare più luce alla nostra interiorità. Impegniamoci concretamente con gesti concreti di carità e di solidarietà per vincere la tentazione al possesso smodato dei beni materiali e infondere fiducia e speranza a chi è bisognoso di attenzioni materiali e spirituali.

Con l’entusiasmo della fede camminiamo verso la Pasqua!

Don Paolo

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Febbraio 2020

Vi darò un cuore nuovo … (Ez.36,26)

Continuiamo il nostro cammino con la certezza che il Signore Risorto è con noi! E dall’incontro con Lui che ci precede, con grande meraviglia, scopriamo qualcosa di sorprendente e di nuovo nella nostra vita: il cuore nuovo. Gesù ci guarisce dalla nostra sclerocardia: l’essere ripiegati su se stessi, accontentarsi di una vita mediocre, l’incapacità a guardarsi attorno. Cristo ci dona un cuore nuovo che fa della commozione il suo flusso vitale perché non lascia più indifferenti, che non teme l’accelerazione del suo ritmo perché trova pace nell’allargamento dell’amore: quanto più ama, tanto più diventa ricco e vitale. Lasciamoci attrarre dal Cuore di Cristo che ci invita: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Nell’ultima pagina sono riportate citazioni bibliche che aiutano a comprendere l’agire del cuore di Cristo. Nella cultura biblica il cuore è la sede non solo dei sentimenti, ma delle decisioni, delle scelte; il cuore dell’uomo è la sua identità, dall’agire del cuore si comprende la persona. I Vangeli ci rivelano il Cuore di Cristo che si commuove di fronte alle ingiustizie, che vive con profonda commozione il mistero della morte, che prova compassione di fronte alle fragilità fisiche e morali degli uomini. Il suo cuore è il Cuore di Dio, sempre pronto ad accogliere i figli che vogliono sperimentare il suo amore. Come guarire dal cuore indurito e avere il cuore nuovo: non si tratta di trapiantare ma di trasformare il cuore. I soggetti di questa trasformazione siamo noi e la grazia di Cristo. E’ necessario un lavorio personale: cominciare a guadare in positivo tutto e tutti e ritenere che in ciascuno c’è sempre la presenza del bene, talvolta nascosto, ma reale; abbandonare lo stile del giudizio al quale siamo spesso abituati e che ci tiene lontani gli uni dagli altri; considerare gli altri a partire da noi stessi. Pertanto, il nostro cuore diventa nuovo quando cresciamo nell’imitazione del Cuore di Cristo. Consentitemi una metafora: il Cuore di Cristo, l’ottica del nostro essere ed agire; assumere il Cuore di Cristo come lenti attraverso le quali guardiamo tutto ciò che ci circonda. Guardare e amare con il Cuore di cristo! Pensate come cambia la prospettiva: quando sto lavorando, il mio lavoro non è più alienante, ma è collaborazione all’opera della creazione continua. Quando sbrigo le faccende domestiche, non compio gesti di routine quotidiana, sto edificando un ambiente sereno e gioioso per tutti i componenti della famiglia. Quando sto con gli altri, non è il momento per stare attenti ai pregiudizi, alle convenzioni, alle ipocrisie sistemiche, ma l’opportunità di vivere da cuore a cuore per scoprire la bellezza, la ricchezza, la novità dell’altro. Il cuore nuovo immette un processo di novità nelle azioni, nei gesti, nelle persone. La novità, di cui si parla, non è la new dell’informazione, ma è la ricchezza insita in ogni realtà umana e non, che sprigiona in forza del dinamismo vitale presente in tutto. Solo il cuore nuovo può riconoscerla e gioire e goderla nella condivisione, nell’accoglienza, nella reciprocità servizievole. Che ve ne pare? E’ possibile? Certo, è possibile, il Signore Gesù ce ne da testimonianza.

BUON CAMMINO !

Don Paolo

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Gennaio 2020

“…costrinse i discepoli…a precederlo sull’altra riva” (Mt. 14,22)

All’inizio del nuovo anno, dono di Dio, per crescere nella fede e vivere nell’amore, riprendiamo il nostro cammino personale e comunitario, con l’animo pieno della gioia incontrata a Betlemme, dietro al Signore Risorto che ci precede in ogni tappa e avvenimento della nostra vita. Nel Vangelo di Matteo, dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù invita i discepoli con un gesto autoritativo a “precederlo sull’altra riva” del lago di Tiberiade, mentre Egli si ritira tutto solo in preghiera. È’ il solo passo evangelico che utilizza questa espressione verbale, ma sappiamo anche che Gesù si fa precedere, inviando avanti a sé i discepoli nei villaggi dove sta per recarsi (Lc.10,1-12). Soffermiamoci su questo passo, scoprendo la bellezza della fiducia riposta da Gesù nei suoi discepoli, in noi, dal momento che ci chiede di partecipare e di collaborare alla sua stessa missione: annunciare agli uomini del nostro tempo la misericordia del Padre. Entriamo nel testo evangelico e facciamo nostro il ruolo dei discepoli, e in particolare quello di Pietro. Gesù ci comanda di salire sulla barca, che simboleggia la Chiesa, per farci comprendere che l’essere suo discepolo implica il far parte di un popolo, l’essere da Lui inviato significa vivere la missione non da battitore libero ma come espressione di una comunità in missione. Quale grande scoperta di un’appartenenza ad una comunità in cui il singolo è sempre più protagonista nella misura in cui diventa ponte tra la comunità degli uomini e l’esperienza ecclesiale. Non può essere condivisibile una presenza individualistica e autoreferenziale del discepolo di Cristo che ha voluto la sua Chiesa come comunità di salvati e di inviati. Quale grande ricchezza per la Chiesa sono le molteplici competenze e i diversi doni dei battezzati, armonizzati dallo Spirito di unità per l’unica e medesima missione: l’edificazione del Regno di Dio. Eppure, la barca della Chiesa non è mai in luoghi protetti, è sempre in alto mare, dove spesso si imbatte nei venti contrari, agitata da marosi, che nel nostro tempo si chiamano pensiero unico, relativismo e individualismo, e ancora, disorientata al suo interno dal soggettivismo delle convinzioni e della prassi che giunge perfino a non riconoscere più la guida, il servizio dell’autorità. I discepoli, vedendo camminare Gesù sul mare, lo scambiano per un fantasma. Che paradosso! Non lo riconoscono perché non credono; non lo riconoscono perché non si affidano, contano più sulle loro fragili forze umane. Talvolta, anche nella comunità cristiana, si fa più leva sulle capacità organizzative, sulle strategie di metodo, sui mezzi a disposizione, e non sulla forza della comunione che è garantita dal servizio dell’autorità. Quale grande povertà spirituale, quando si considera il servizio dell’autorità un fantasma, non esiste, è inutile. Nonostante tutto, il Maestro: “Coraggio sono io, non temete”, parole che evocano la presenza salvifica: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” Presenza-assenza, paradossalmente richiama la modalità dell’agire divino, che opera nascondendosi, è il Deus absconditus! Quante volte desideriamo ascoltare questa parola: “Coraggio sono io”, come dire io ci sto in tutte le situazioni della tua vita, specialmente quando non puoi contare sulle tue forze, quanto tocchi con mano la tua precarietà e fragilità, ma non considerarmi la panacea alle tue difficoltà, il motivo della mia presenza è ben altro: io ti amo da sempre, conto su di te, mi fido di te”. Ma come Pietro, anche noi cadiamo nella tentazione: “se sei tu…comanda”, è qui che nasce la fede e il suo dinamismo: la consapevolezza del limite e la volontà di fidarsi e di affidarsi. Lo chiama, risponde con il movimento dell’andare verso, dubita e affonda invocando la salvezza, lo prende per mano e lo salva, lo ricrea. Sono questi i momenti bellissimi dell’esperienza della fede: desiderio di pienezza, essere chiamati, andare verso, sperimentare la propria debolezza, invocare la salvezza, essere ricreati. D’ora in poi sei chiamato a precederlo dovunque Egli vada. All’inizio del nuovo anno partiamo tutti insieme per la maratona dello Spirito che è il vero protagonista della storia della Chiesa e ci proietta verso orizzonti nuovi e inesplorati. Ringraziamo il Signore per il tempo che ci dona come opportunità concreta di farci suoi strumenti per realizzare il suo progetto di amore per l’umanità. Ringraziamo il Signore per le persone che ci pone accanto e che ci farà incontrare e che condividono le nostre stesse ansie, preoccupazioni e desideri, con le quali possiamo costruire qualcosa di bello e di buono. Ringraziamo il Signore che ci fa vivere l’entusiasmante avventura cristiana, in una comunità, la Chiesa, sempre più esposta sul versante degli ultimi, dei poveri, degli scartati.

BUON ANNO !

Don Paolo

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Dicembre 2019

… spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, (Fil. 2,6-11)

Intraprendiamo il nostro viaggio verso Betlemme, dove accadrà qualcosa di unico e di irripetibile, mai conosciuto dall’uomo e per lui impensabile: Dio, il Signore del cielo e della terra si farà Bambino. Partiamo con una sensazione di gioia intima che non fa pensare alle fatiche della strada e che ci fa pregustare l’annuncio dell’Angelo: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia…”(Lc. 2,10). A Betlemme, da lontano si intravede l’anticipazione della Pasqua; nella Grotta sono presenti i segni del Risorto, il sudario, nel quale è stato avvolto, in un luogo a parte (Gv. 20,7), mentre il Bambino sarà avvolto in fasce (Lc.2,12) in una mangiatoia, e diventerà Pane spezzato per l’umanità. L’equipaggiamento per il viaggio prevede in particolare due eccellenti virtù: l’obbedienza, “Ecco io vengo, o Dio, per fare la tua volontà”(Eb. 10,7) e l’umiltà, proprie del Bambino che troveremo. Gesù è obbediente al Padre e non si sottrae alle leggi umane, ma si fa tutt’uno con il vissuto di ogni uomo, specialmente degli uomini che non contano. Incarnarsi, assumere la natura umana, farla propria, diventare uomo, non è un semplice apparire nella natura umana; ma diventare uomo come ogni uomo, con tutte le caratteristiche di ogni uomo, da quelle fisiche, a quelle spirituali, affettive, relazionali: “Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi”(GS. 22). Tutta la vita di Cristo è obbedienza al Padre, fino alla morte (Fil.2,8). “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio”Lc. 2,49), “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato”(Gv.4,34), “non sia fatta la mia, ma la tua volontà”(Lc.22,42). Natale del Signore: farsi umili come i pastori per vivere la semplicità, l’autenticità delle relazioni interpersonali. Obbedire all’Angelo e come i pastori, senza indugio, andare a Betlemme per incontrare il Bambino, annunciato come il Principe della pace. Il tempo liturgico dell’Avvento che ci apprestiamo a vivere a celebrare, ci è propizio per riscoprire la virtù cristiana della speranza. Ci sono di esempio: Abramo, che spera contro ogni speranza; Maria, che si fa disponibile ancella della Parola; Giovanni Battista, che vive l’attesa del Messia come profeta di speranza e di giustizia. Tre testimonianze bibliche che evocano in noi una preparazione originale, nuova, unica al Santo Natale, lontana dalla riduzione consumistica dell’Evento salvifico, dalla ripetitività dei gesti tipici delle convenzioni natalizie. Lasciamoci coinvolgere dall’invito del Profeta a raddrizzare i nostri sentieri, a colmare le valli della superbia. Facciamo nostro l’annuncio angelico e diventiamo persone gioiose; accucciamoci come i pastori davanti alla Santa Famiglie. Acclamiamo come i Magi le meraviglie che il Signore ha operato. Sarà un Natale diverso! Sarà il Natale del Signore, il vero Natale!

Don Paolo

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Novembre 2019

… non venga resa vana la croce di Cristo. (1Cor. 1,17)

“…siamo chiamati a dissotterrarla da tutto ciò che è mondano, che cerca di nasconderla agli uomini…” (mons. F. Santoro). Iniziando il nostro cammino, abbiamo compreso la necessità del punto di partenza, del fondamento della vita che, con grande nostro stupore, abbiamo ritrovato in Cristo Risorto. Cristo non è mai senza la croce; nella risurrezione, la croce è il trofeo di vittoria che Cristo innalza sulla morte. Il rischio di nasconderla all’uomo d’oggi è concreto e ricorrente; e l’apostolo ci mette in guardia dal render vana la croce di Cristo: svuotarla di contenuto, di significato. E ciò accade quando la riduciamo ad un amuleto, ad un ornamento anche prezioso, ad un simbolo culturale. Per noi cristiani, la croce del Signore è il nostro vanto (Gal. 6,14). E’ lo strumento della nostra salvezza, su di essa è stata sconfitta la nostra morte. È il luogo sul quale muore il nostro orgoglio, la nostra superbia, e nasce la vita nuova. Su di essa si realizza la nostra radicale unità con Cristo, condizione necessaria per rinascere a vita nuova: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io, ma Cristo vive in me”(Gal. 2,19-20). Egli è il principio, il fondamento della mia nuova vita. In essa, la croce diventa presenza ineludibile, condivisione della sofferenza altrui, purificazione dello sguardo verso Dio e verso il prossimo. Prendiamo coscienza che la croce non è solo segno di identità e di riconoscimento del cristiano, ma evoca il dinamismo battesimale che trasforma il cristiano in alter Christus. Un dinamismo, che caratterizza la vita quotidiana tra un costante morire a se stessi, alla propria superbia, e un progressivo risorgere all’accoglienza, all’apertura, alla speranza. La nostra tradizione e cultura cristiana, in questo mese di novembre, ci pone di fronte al mistero della morte e ci provoca ad una riflessione più attenta sul senso della vita e sullo scorrere del tempo. Meditando sull’Oltre, il presente recupera il suo valore di opportunità unica e irrepetibile per operare il bene, come misura alta di vita e di realizzazione di sé. La Chiesa ci invita a contemplare la Gerusalemme celeste, quella parte del Popolo fedele di Dio che già gode della pienezza della vita, della gloria: i santi. Essi sono nostri fratelli nella fede e nostri compagni di viaggio che hanno vissuto prima di noi l’avventura cristiana dando testimonianza concreta al Risorto. Visitando le tombe dei nostri fratelli defunti nei cimiteri, esprimiamo la nostra gratitudine al Signore per l’eredità spirituale che ci hanno lasciato e adempiamo al dovere di pregare in suffragio delle loro anime, secondo le consuetudini della nostra fede cattolica.

Don Paolo

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Ottobre 2019

«Egli vi precede in Galilea» (Mc 16,7)

Accogliamo dalla paternità di Dio questo nuovo anno pastorale, con l’apertura del cuore di fronte a ciò che sta per accadere nella nostra vita personale, nella vita della nostra comunità cristiana: un’irruzione sempre più grande e nuova dell’amore di Dio. Cosa c’è all’inizio del nostro cammino? Il paradosso della nostra fede ci dice che il Signore Risorto ci precede: Egli è all’inizio. Egli ci precede non solo in senso temporale – è sempre prima di noi e avanti a noi – ma, soprattutto ci precede in senso sostanziale, perché il suo precedere è il fondamento, la causa ragione di ogni cosa, specialmente di ogni essere umano. Il Risorto ci precede, perché è all’inizio di ogni nuovo cammino del singolo e della comunità. “Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui” Col. 1, 15 annuncia l’apostolo Paolo, che ricorda come nella sua vita il Risorto lo precedeva e lo attendeva sulla strada di Damasco. Ognuno di noi ha la sua strada di Damasco, dove il Signore lo precede, lo attende e lo ricrea. All’inizio del nuovo anno pastorale facciamo nostre le parole di un‘antica preghiera della Chiesa: “Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostra attività abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento”. Il Signore, origine e fine di tutto! E’ opportuno, però, richiamare i punti di forza, di stabilità; la partenza per un nuovo cammino esige esperienza e scoperta, solidità e meraviglia, accogliere e farsi. La ricchezza del nostro passato deve aprirsi alla scoperta della novità dello Spirito creatore; la solidità delle fondamenta – che sono la Verità e il possesso delle verità umane - si inerpica sulle meravigliose pareti di nuove rocce da scalare, nuove mete da raggiungere; accogliere chi mi passa accanto per meglio rivelare me a me stesso e realizzarmi nel dono accolto e ricambiato. S. Ignazio di Loyola, tipo del moderno cavaliere della Fede, ci viene incontro con l’esperienza del suo imbatto con il Risorto. L’anno 1521 accade la svolta, a Pamplona, mentre difende la città dai francesi,viene ferito gravemente alle gambe, di cui una spezzata. La sua vita è in pericolo, si riprende dopo una delicata operazione chirurgica. Durante la convalescenza Ignazio legge alcuni libri spirituali, tra cui la Vita Cristi e il Flos sanctorum, e dopo un’attenta e seria riflessione interiore, prende una decisione radicale: dedicarsi totalmente a Cristo, abbandonando la precedente vita mondana. Ignazio decide di recarsi in pellegrinaggio a Montserrat, uno dei più celebri santuari mariani di Spagna. “riscopriamo il valore del viaggio della nostra vita” predicava il nostro Arcivescovo nell’omelia del 14 settembre scorso. Egli è talmente preso da questa scelta radicale, che tronca ogni rapporto col passato, per vivere come un “pellegrino povero”; trascorre un periodo di intesa preghiera a Manresa, in un convento di domenicani, con particolari esperienze mistiche; lì comincia la sua nuova vita. Vorrei concludere consegnando un breve pensiero tratto da “Racconti di un pellegrino Russo” dal primo racconto: “ Per grazia di Dio io sono un uomo e cristiano, per azioni gran peccatore, per condizione un pellegrino senza terra, della specie più misera, sempre in giro da paese a paese. Per ricchezza ho sulle spalle un sacco con un po’ di pane secco, nel mio camiciotto la santa Bibbia, e basta…”. Iniziamo questo nuovo anno pastorale con lo spirito del pellegrino, desiderosi di incontrare sul nostro cammino, fratelli e sorelle alla ricerca del Verità e del Bene, con cui condividere lo stupore del Risorto che sempre ci precede e ci attende.

Buon anno Pastorale!

Don Paolo

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Festeggiamenti S. Teresa B.G. 2019

Don Paolo

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Aprile 2019

… tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. (Gv. 13,35)

Mentre continuiamo il nostro cammino verso la Pasqua, entriamo nel vivo dell’esperienza del discepolato, dal momento che Gesù salendo a Gerusalemme unisce sempre di più alla sua vita i suoi discepoli. Un invito a condividere con Lui i momenti cruciali della sua vita terrena, che segnano l’inizio della nostra salvezza. Tra questi ricordiamo in particolare l’Ultima Cena: il quadro dell’intimità più profonda di Gesù con i suoi. Mentre sono a tavola per fare memoria della Pasqua ebraica, Gesù, rivolgendosi ai suoi, come a completamento della suo e3ssere maestro, dichiara solennemente che i suoi sono discepoli nella misura in cui si ameranno reciprocamente. La misura alta dell’essere discepoli è l’amore reciproco come imitazione dell’amore di Cristo per noi. Per tre anni i discepoli hanno seguito il Maestro, hanno ascoltato il suo insegnamento, sono stati con Lui e sono stati da Lui inviati per annunciare la buona notizia. Per noi il cammino quaresimale è il tempo propizio per riscoprire la nostra identità di discepoli; all’origine del nostro essere cristiani c’è il suo sguardo, il suo invito a seguirLo. È l’esperienza di un dono, non meritato, inaspettato, coinvolgente, che abbiamo accolto con gioia. Un dono che porta in sé un’esigenza insopprimibile: non restare nascosto in una custodia dorata, ma donato agli altri. Nella misura in cui faccio della mia vita un dono per gli altri comincio a vivere da discepolo di Cristo. Per giungere a questo traguardo è necessario stare con Lui nell’ascolto della sua Parola, nel presentare le nostre difficoltà, i nostri fallimenti:”perché noi non siamo riusciti…”(Mt,17,19); nell’invocare una relazione nuova con il Padre: “Signore, insegnaci a pregare…”(Lc. 11,2). Ma in concreto, cosa comporta per noi il vivere da discepoli, quali sono le esigenze e le modalità: la radicalità (le volpi hanno le loro … Lc, 9,58) indietro), l’essenzialità (non procuratevi né sacca da viaggio né due tuniche … Mt. 10,10), la perseveranza (Nessuno che mette mano all’aratro e si volge indietro … Lc, 9,62). La modalità del vivere da discepoli è data dalla testimonianza stessa del Maestro: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” Gv. 13,14. Il servizio reciproco è semplice utopia, un ideale irrealizzabile? La parola di Gesù chiede la collaborazione responsabile dei credenti perché si incarni nella storia e costruisca la comunità. Il discepolo vive la pienezza del servizio nel dono di sé e nell’imitazione del Maestro che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc. 10,45). Così il servizio diventa l’espressione concreta dell’amore del discepolo, il cui fondamento è l’amore stesso di Cristo e il cui spazio di visibilità è la comunità cristiana e la comunità degli uomini. Queste settimane teniamo fisso il nostro sguardo al Crocifisso, per celebrare la Pasqua dell’amore di Dio per l’umanità nel sacrificio del Figlio e nel dono dello Spirito Santo; la Pasqua dell’amore dei discepoli del Risorto che diffondono il profumo dell’amore di Dio e lo rendono contemporaneo.

Buona Pasqua, ricca di speranza e di amore! 

Don Paolo

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Marzo 2019

Alla scuola di Gesù…   (Mc. 3,14)

La quaresima tempo liturgico favorevole all’ascolto. La Chiesa ci invita a creare spazi e luoghi idonei all’ascolto della Parola. In altre parole, a metterci alla scuola di Gesù Maestro e rientrare nel nostro atteggiamento di suoi discepoli per essere da Lui ammaestrati nella Verità. Pensare all’essere discepoli, ci fa ritornare ai tempi dell’infanzia quando andare a scuola significava vivere la meravigliosa relazione educativa tra il maestro e i discepoli: gli scolari. Ma qui c’è ben di più di un maestro di professione, c’è il Maestro che insegna con autorità. Dedicheremo il tempo della Quaresima all’approfondimento dell’essere discepoli di Cristo, partendo dalle testimonianze bibliche per dare maggiore visibilità alla nostra sequela di Cristo nel vissuto quotidiano. Le cinque domeniche di quaresima ci aiuteranno a soffermarci sui diversi aspetti del discepolato: 1. Quale l’identità del discepolo: la chiamata da parte di Gesù; 2. Come si diventa discepoli: stare con Gesù; 3. Quali sono le esigenze del discepolato, essenzialità, radicalità, perseveranza; 4. La modalità dell’essere discepolo: servire; 5. Come si riconosce un discepolo di Cristo: dall’amore verso tutti. Nel Vangelo rimbalza il novum del discepolato cristiano; non è il discepolo a scegliere il maestro come avveniva per i discepoli che volevano frequentare la scuola di Socrate, ma è il Maestro, Gesù di Nazareth a chiamare al suo seguito (Lc. 5,10-11; 5,27; 6,13). La risposta alla chiamata è vissuta nello stare con Gesù (Mc. 3,14) e si comprende subito che essere discepoli di Cristo, stare alla sua scuola, comporta la condivisione della sua vita. Non vi è spazio per un’appartenenza intellettualistica, riducendo la sequela ad una mera accettazione dell’insegnamento evangelico, senza una conversione autentica e un nuovo stile di vita. Il cammino della Quaresima va vissuto nell’andare dietro a Cristo, percorrendo la sua strada e allenandosi a rinunciare a se stesso per giungere all’estasi del Calvario per affermare, con l’apostolo Paolo, nella gioia della Pasqua. “non vivo più io, ma Cristo vive in me”(Gal, 2). Qui è il paradosso del discepolo di Cristo: pur restando se stesso, immette un principio nuovo nella sua vita; il principio nuovo è Cristo, il suo insegnamento, il suo esempio. Accogliamo con gioia le proposte spirituali che sono attivate, sia nella Chiesa diocesana che nella comunità parrocchiale, partecipando con frutto alle diverse iniziative. Non trascuriamo le opere penitenziali proprie della Quaresima da sempre raccomandate dalla Chiesa: preghiera, digiuno, elemosina. Con la prima, intensifichiamo i nostri spazi personali di ascolto della Parola; con il secondo, impegniamoci a modalità visibili di essenzialità, riducendo il facile ricorso alle banalità sui social, agli avventati giudizi e pregiudizi sul prossimo; con la terza, attiviamoci per azioni concrete di condivisione dei beni materiali e spirituali con chi è nel bisogno. La partecipazione alle celebrazioni quaresimali e alle tradizioni religiose popolari aiuti a crescere in una fede adulta.

Dietro a Cristo con l’entusiasmo della fede verso la Pasqua!                 Buona strada! 

Don Paolo

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08 Febbraio 2019

 

Festa della Famiglia 2018

"La Famiglia ... scuola dei discepoli di Cristo"

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Gennaio 2019

“E fu battezzato nel Giordano” ( Mc. 1,9)

“Da battezzati a discepoli”, il secondo motivo di riflessione formativa che l’Arcivescovo ci ha consegnato in questo anno pastorale, ci accompagnerà nel nostro impegno comunitario fino a Pasqua. Il primo battezzato è Gesù che con il suo battesimo al fiume Giordano da parte di Giovanni il battezzatore, ha dato vita al nuovo Popolo di Dio: Egli l’Unigenito, l’amato del Padre, in cui ha posto il suo compiacimento. Non possiamo comprendere il nostro battesimo se non consideriamo il battesimo di Gesù. Il battesimo costituisce l’inizio dell’avventura della nostra fede, in esso, infatti, diventiamo figli di Dio ed entriamo a far parte della Chiesa, nuovo Popolo di Dio. Il battesimo cancella in noi la colpa del peccato d’origine e ci inserisce nel dinamismo della vita trinitaria, per questo siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tale dinamismo sta a indicare che il battesimo è il momento di partenza da cui l’essere stato costituito figlio di Dio esige, una progressiva consapevolezza del dono ricevuto, attraverso una quotidiana realizzazione della grazia ricevuta nel vissuto storico di ciascuno. Dall’appartenenza anagrafica alla Chiesa, all’appartenenza reale e vissuta. Nella sua umanità, Gesù di Nazareth al Giordano riceve l’investitura a Messia e comprende quale la sarà la sua missione e la modalità con cui questa sarà attuata. Egli è il Messia che si fa carico della condizione di peccato dell’umanità, diventando peccato per noi, per riscattarci dal peccato. Sarà il Servo sofferente, annunciato dal profeta Isaia, il cui dono di Sé fino alla morte in croce darà all’uomo la Vita nuova. A questo compimento Egli giungerà al termine del suo viaggio a Gerusalemme, dopo aver affrontato incomprensioni e persecuzioni fino a provare turbamento di fronte alla sua morte, tanto da dire: “Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Gv. 12,27; e sulla croce, Gesù dirà: “tutto è compiuto” Gv. I Vangeli attestano il cammino di Gesù nella presa di coscienza del suo essere il Messia e della sua risposta alla volontà del Padre. Pensiamo alla sua prima esperienza nel Tempio di Gerusalemme all’età di dodici anni; nella sua risposta a Maria sua madre, stupita delle sue parole, Gesù manifesterà la sua identità di Figlio di Dio: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro” Lc. 2,49-50. E nel Vangelo di Giovanni, nel pieno della sua vita pubblica, Gesù dichiara: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” Gv. 4,34. Egli comprendeva che la volontà del Padre era la salvezza dell’umanità e che avrebbe comportato la sua morte in croce, come supremo atto di amore a Dio e agli uomini. Il periodo di formazione alla missione per Gesù è stata la sua familiarità vissuta con Maria e Giuseppe a Nazareth, fino alla sua manifestazione pubblica. A Nazareth, Gesù è stato introdotto alla conoscenze delle Sacre Scritture e alla Tradizione ebraica; Da Maria e Giuseppe ha imparato la pratica della vita religiosa e ha assimilato le virtù umane del dialogo, del rispetto, della condivisione e della sensibilità verso i poveri e lo scarto umano della società. A Nazareth Gesù ha imparato la fatica del lavoro quotidiano, il sacrificio come ricerca dell’essenziale, la corresponsabilità nella gestione della vita familiare; da ciò emerge la maturazione della sua persona nella fedeltà a Dio e nella fedeltà al prossimo. Nella presa di coscienza della sua figliolanza divina Gesù si rivela come l’uomo perfetto, il modello di ogni uomo. All’inizio del nuovo anno civile, sentiamoci stimolati ad una maggiore consapevolezza del nostro essere cristiani, cioè discepoli di Cristo e suoi imitatori. La radice, il fondamento della nostra vita cristiana è il battesimo che abbiamo ricevuto sin da piccoli. Dobbiamo ravvivare il dono ricevuto, perché la grazia della vita nuova operi e si manifesti nella vita di ogni giorno, tanto che l’appartenenza a Cristo sia sperimentato nel vissuto concreto di ogni giorno. Nel giorno del Natale, san Leone Magno ci invitava con queste parole: “Riconosci cristiano la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro… Con il Sacramento del Battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo”. ( Dai Discorsi di S. Leone Magno, papa). La nostra gratitudine al Signore per il nuovo anno e il nostro impegno a valorizzare il tempo che ci viene donato per operare il bene verso tutti!

A tutti auguro ogni bene! 

Don Paolo

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Dicembre 2018

…Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza,… 2Ts 2,13

L’invito alla gioia per il Signore che viene si fa spazio nel nostro cuore perché andiamo incontro al Natale. L’Avvento, nel suo svolgersi come tempo di grazia, tra profezia e compimento, ci sollecita ad approfondire e a comprendere la grazia della nostra elezione da parte di Dio Padre. Egli ci ha scelti come “primizia”, come destinatari primi del suo dono di amore, come primo frutto dell’opera compiuta da Gesù suo Figlio. Gesù Cristo è la primizia, per eccellenza, perché Egli è il Primogenito della nuova creazione. Ed è proprio in Lui che noi siamo stati eletti, siamo stati orientati alla salvezza. Il tempo liturgico dell’Avvento richiama a noi le virtù cristiane della vigilanza, dell’operosità, della condivisione. Mi permetto di offrire a tutti alcuni suggerimenti. Il primo: fare spazio in noi per preparare e accogliere il Signore che viene. Ciò esige una libertà interiore che ci aiuta a discernere, a capire gli ingombri che ostacolano il fare spazio. E questi riguardano i nostri comportamenti individualistici, i nostri interessi materiali, le nostre occupazioni affaristiche. Quanto è bello vivere nella libertà per andare con libertà verso gli altri. Il secondo: usare con parsimonia i beni materiali, per scoprire la gioia della condivisone con i fratelli che sono in necessità. Pensiamo alle contraddizioni di questo periodo: tante luminarie con apparati artistici illuminano le strade delle nostre città, e nello stesso tempo, quanto buio, quanta oscurità nei nostri animi, nei nostri cuori. La parsimonia ci spinge a farci dono concreto per gli altri, per essere tutti illuminati dalla luce della fraternità, dell’amicizia, dei doni scambiati. Il terzo: fissare il nostro sguardo sul Bambino Gesù per sperimentare la gioia di essere da Lui guardati e amati. Il nostro sguardo si allarga alla sua famiglia terrena: la famiglia di Maria e di Giuseppe. La gioia del Natale che viene e che incontriamo negli occhi innocenti dei nostri bambini, negli occhi imploranti di chi non ha un tetto, negli occhi penetranti dei nostri saggi anziani, ci aiuta a riscoprire la gioia dello stare insieme, la felicità di essere amato e di amare, la bellezza della nascita del Bambino Gesù, che si fa presente nel cuore di chi ama. Nel nostro cammino ci accompagna la Vergine Immacolata, la Donna dell’attesa che nella sua vita terrena ha visto l’inizio del compimento e che attende ora con la Chiesa il compimento finale. Auguro a tutta la Comunità e a ciascuno un buon cammino di Avvento e un Santo Natale ! 

Don Paolo

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Novembre 2018

… ora voi siete popolo di Dio (1Pt. 2,10)

Tutti noi battezzati siamo Popolo di Dio. Papa Francesco parla di popolo fedele di Dio; popolo fedele perché crede, perché si mantiene fedele a Dio, alla sua alleanza e ‘conserva il deposito della fede’.

Il cristiano, discepolo di Cristo, prende coscienza della sua fede nell’esperienza dell’appartenenza al popolo. Nasce nel popolo di Dio, col Battesimo; cresce, si forma, matura nel popolo di Dio con i sacramenti della Cresima e dell’Eucaristia. Il discepolo di Cristo contribuisce a far crescere il popolo di Dio con il suo servizio, il suo ministero, la sua testimonianza. La dimensione relazionale è costitutiva della persona umana, essa è iscritta nel disegno della creazione, tanto che il Concilio Vaticano II insegna che: “… Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, …” LG, 9.

Oggi si confonde o si identifica l’appartenenza al popolo con il populismo: le reminiscenze scolastiche ci ricordano che la deriva della democrazia è la demagogia, che sembra il termine più adatto a spiegare il moderno populismo, come movimento culturale e politico in cui il ruolo del popolo è evanescente, facilmente assorbito dal leader. In tale contesto si accentua l’esasperazione individualista e l’affermazione dei bisogni e degli interessi del singolo da soddisfare ad ogni costo. Pertanto, è quanto mai necessario e improcrastinabile meditare, studiare, approfondire l’ecclesiologia del Vaticano II, in particolare le costituzioni: Lumen Gentium sulla natura della Chiesa e sull’identità del cristiano, e la Gaudium et Spes sulla presenza della Chiesa nel società contemporanea. Il grande Papa del Concilio, da poco canonizzato, Paolo VI, ci insegna e ci testimonia il suo amore alla Chiesa, mostrandocela come il Popolo pellegrinante nella storia in cui tutti i battezzati, figli di Dio, vivono l’appartenenza alla Chiesa legati da vincoli di amore fraterno, impegnati a testimoniare l’amore di Dio per l’umanità, facendosi prossimo ad ogni uomo e donna. Il popolo fedele non è riducibile ad una categoria sociologica ma è il luogo teologico in cui si manifestano le meraviglie del Signore e che trova la sua realizzazione in una concreta comunità di fedeli, che in essa scoprono la chiamata alla fede e nella condivisione dei beni della salvezza rispondono con entusiasmo alla missione ricevuta. In questo mese di novembre, la Chiesa ci invita alzare il nostro sguardo di contemplazione a quella parte del Popolo fedele che già partecipa della pienezza della vita, della gloria: i santi ci precedono nella Gerusalemme celeste e alimentano la nostra speranza, sono i nostri compagni di viaggio nel pellegrinaggio terreno verso il Regno. Visitando i fratelli defunti nei nostri cimiteri, facciamo memoria della loro vita cristiana e della loro testimonianza di fede, rendendo grazie al Signore, per l’eredità spirituale che ci hanno lasciato.

Don Paolo

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Festeggiamenti S. Teresa del B.G. 2018

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Ottobre 2018

«In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo…» (Ef 1,4-5)

Iniziamo il nuovo Anno pastorale invitati dal nostro Arcivescovo a meditare sulle nostre origini, per rispondere ad uno degli interrogativi più frequenti che l’uomo si pone: da dove veniamo? Veniamo dal caso? Siamo il risultato di un processo evolutivo a noi sconosciuto? Per noi cristiani la nostra origine sta nel’atto elettivo di Dio che da sempre ci ha pensati e ci ha voluti. Contemplando il suo Unigenito Figlio, ci ha amati in Lui e ci ha scelti ad essere immagine del suo Figlio. All’origine della nostra esistenza, singola e comunitaria, un infinito atto di amore di Dio che ci ha resi partecipi della sua stessa natura, tanto da essere capaci di amare come Lui. L’esistenza dell’uomo: un’avventura entusiasmante, fatta di meraviglia, di stupore, di scoperte! L’amore di Dio, senza alcuna nostra pretesa o rivendicazione, ci chiama per nome, ci costituisce, cioè, davanti a Dio come persone che entrano in dialogo con Lui. Ci ricorda l’Arcivescovo: “ All’origine c’è un amore che sceglie e che predilige. Non ci diamo la vita da soli; è questo amore eterno che ci fa essere”. Tale affermazione, ben comprensibile nella prospettiva religiosa della vita, si rivela nel corso degli anni, quando si fa chiara la trama del progetto di Dio nella vita dell’uomo. Col passare degli anni, si tocca con mano quanto il Signore va operando nella vita di ciascuno. Un progetto di predilezione, di amore preveniente, di salvezza, di missione. Come Mosè, come Maria, anche noi rispondiamo: “Eccomi”. Continua l’Arcivescovo: “Questo è il metodo di Dio: sceglie Abramo, Mosè e poi Maria per darci Gesù, l’Eletto, e quindi sceglie gli apostoli, i discepoli, la Chiesa per giungere a tutti i popoli della terra. Il Signore sceglie alcuni per giungere a tutti, di incontro in incontro”. L’elezione divina attende la risposta libera dell’uomo che comporta l’assunzione di responsabilità nella propria vita e nella vita della comunità cristiana. Il servizio ecclesiale, infatti, è la risposta alla chiamata di Dio. Questa dinamica è a fondamento di ogni ministero, vissuto con umiltà, generosità, perseveranza e gratitudine. Santa Teresa di Gesù Bambino ha scoperto la sua elezione, quando, da piccola, contemplando con il suo papà il cielo stellato, nella costellazione di Orione a forma di T, ha intuito la predilezione e la sua elezione divina. Seguendo il suo esempio, pensiamo all’evento che nella nostra vita ci ha fatto scoprire che Dio ci ama da sempre, e rinnoviamo l’entusiasmo della nostra adesione a Lui.

Buon Anno Pastorale!

Don Paolo

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Giugno 2018

Vacanze … tempo dello Spirito!

Si avvicina l’estate e si pensa alle vacanze. È bello ritornare sui passi che hanno segnato il nostro anno pastorale:la vocazione,. l’appartenenza, la testimonianza, parole-chiave consegnate a noi dall’Arcivescovo. Insieme a queste, il nostro cammino ha incontrato delle pietre miliari: generazione, resilienza, desiderio, speranza, viaggio, per le quali abbiamo compreso il bisogno di fermarci a riflettere e condividere insieme le sollecitazioni al nostro spirito. Un invito, un suggerimento: dedicare un po’ del relax estivo alla cura del proprio spirito. Lo spirito ha bisogno di particolare attenzione, di “cibi esotici” difficilmente in commercio, non si comprano nemmeno nei grandi supermercati. L’alimentazione dello spirito ha un ambiente fuori del comune: il silenzio; una modalità essenziale: la meditazione; dei tempi da rispettare: la preghiera calma e tranquilla. Aver cura della propria interiorità cominciando a contemplare l’Infinito, nel quale i desideri di ciascuno trovano origine e prendono forma e muovono all’azione. Aver cura della propria interiorità per scoprire la bellezza del possedere se stessi nell’atto di riconoscere che siamo posseduti da un Altro, vincendo ogni deriva di spaesamento, di confusione e di disorientamento, con lo sguardo fisso al Punto fermo: Cristo Signore, Via, Verità e Vita. Aver cura della propria interiorità per gustare ciò che è essenziale nella vita, ciò che è autentico nelle relazioni, ciò che è orientato alla méta, la felicità. Allora vale pena dedicare un po’ del proprio tempo alla palestra interiore per la ginnastica dello spirito, per vivere in modo alternativo il meritato tempo delle vacanze. Dovunque, il suono di una campana, la presenza di una chiesa, di una croce, di un’edicola religiosa, ridestano la dimensione dello spirito; assecondala, perché il piacere interiore è indescrivibile, ma facilmente comunicabile; dalla serenità del tuo volto, dalla pacatezza del tuo parlare, dalla disponibilità ad ascoltare, sarà arricchito chiunque ti incontrerà. E ritornando all’ordinarietà della vita, tutto assumerà un nuovo significato. Viviamo l’estate come tempo di grazia per vivere nuovi incontri, per dedicarci al servizio e alla condivisione, per allargare gli orizzonti del pensiero e leggere in profondità la realtà che ci circonda e non trascurare le occasioni per fare del bene a chi ci passa accanto.

Fraternamente

Don Paolo

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20 Maggio 2018

“Celebrazione Eucaristica ore 19.00"

La Comunità di Santa Teresa del B.G. è in festa! La nostra gratitudine al Signore per il dono del Sacerdozio a don Giuseppe e per la sua gioiosa fedeltà a Cristo e alla Chiesa. La nostra Gioia che vogliamo condividere con mamma Elvira e i suoi familiari, i suoi amici, avrà il suo momento più significativo nella Celebrazione eucaristica presieduta da don Giuseppe il 20 maggio alle ore 19.00 nella nostra Chiesa che lo ha visto crescere nella fede e maturare nella vocazione e ha goduto delle primizie del suo sacerdozio. La mia letizia di parroco sarà ancora più grande se vedrò la partecipazione massiccia della Parrocchia e di tanti amici che in questi anni hanno condiviso con noi e con don Giuseppe una tratto del loro cammino cristiano (amici dell'Azione Cattolica, del Movimento Studenti di AC, della Fuci e tanti ancora).

Dite a don Giuseppe il vostro affetto e la vostra amicizia, sin d'ora con la preghiera, e il 20 maggio con la presenza. vi aspetto per fare festa tutti insieme! con fraterna cordialità.

Diretta Facebook S. Messa dalle ore 19.00   

Don Paolo

 

Maggio 2018

“pronti a rendere ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15)

E’ fuori moda parlare oggi di speranza, specialmente di fronte al fallimento delle utopie ideologiche che erano state predicate come la vera ed unica salvezza per l’uomo. Qualche decennio fa, si identificava utopia con speranza e si sperava in un mondo migliore, in cui sarebbe regnata la giustizia e l’uguaglianza tra gli uomini. Condannata a morte la speranza cristiana ed ostracizzata come illusione dall’universo umano perché falsa consolazione, ora non si sente più pronunciare neanche la parola utopia. Forse l’uomo è stato depauperato di una dimensione fondamentale della sua esistenza: il futuro, lo sguardo e l’impegno per il futuro? Probabilmente, sì! L’immanentismo imperante ha chiuso la persona umana nell’assolutizzazione del presente, senza le radici del passato e le aperture del futuro. Così riesco a spiegarmi lo spaesamento, il disorientamento di chi non ha radici; come comprendo anche il perché del non senso diffuso. Mi chiedo: nel nostro contesto culturale trovano ancora spazio gli interrogativi originari, chi sono, da dove vengo, dove vado? Probabilmente, no! Non vi sembra questa la malattia dello spirito, che in diverso modo, miete tante vittime? Eppure, è connaturale all’uomo, il dinamismo, il movimento che implicano un passaggio, un prima e un poi; è nella sua natura fisica, e perciò anche nella sua natura spirituale. L’uomo ha bisogno di riappropriarsi del suo passato e di aprirsi al futuro per vivere pienamente il presente. La speranza è propria del cristianesimo e trova il fondamento nella Pasqua di Cristo: inizio di vita nuova. Quando sembrava tutto finito, quando ogni aspettativa era svanita dietro alla pietra rotolata a chiusura del sepolcro, quando le paure dei capi erano state cancellate, allora accadde un fatto nuovo, inspiegabile: il sepolcro era vuoto! Da quel momento, nel Nome di Gesù Risorto viene ridata la vita, donata la guarigione, sconfitto il male! La misericordia del Padre abbraccia ogni uomo che ritrova il coraggio di lottare e di continuare. San Giovanni Paolo II ci ricorda:”Al di fuori della misericordia di Dio non c’è nessun’altra fonte di speranza per gli esseri umani”. La speranza non si riduce a sognare qualcosa di indefinibile, ma si identifica con il desiderio di scoprire l’inesauribile potenziale umano, capace di migliore se stessi e la vita degli altri. Possiamo pensare la speranza come la virtù cristiana, che, condivisa, impegna i cristiani a tracciare nel presente della storia i solchi per tessere nella maglie della convivenza umana la trama della giustizia. “Ogni volta che un uomo difende un ideale, agisce per migliorare il destino degli altri, o lotta contro un’ingiustizia, trasmette una piccola onda di speranza”(B. Kennedy). Se vuoi crescere e allenarti alla speranza, fissa il tuo sguardo negli occhi di un bambino e scoprirai che il futuro si costruisce impegnandoti a farlo crescere senza tradirlo con il tuo sterile ancoraggio al passato. Affidiamo alla maternità di Maria Santissima questo mese di maggio perché la sua testimonianza ci solleciti ad essere uomini di speranza, pronti a scorgere all’orizzonte i segni della presenza dello Spirito che soffia dove vuole. .

Fraternamente, nell’attesa della Pentecoste

Don Paolo

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Aprile 2018

… e di me sarete testimoni…fino ai confini della terra (At.1,8)

“Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?” sono le parole che cantiamo nella sequenza di Pasqua. Maria Maddalena ha visto il Risorto e corre ad annunciarlo ai suoi amici, chiusi nel Cenacolo per paura dei Giudei: Il testimone è colui che ha visto, ha incontrato, ha sperimentato e annuncia. La testimonianza è un bisogno del cuore di voler partecipare la gioia incontrata, un moto dell’intelligenza di far conoscere la verità posseduta. Nel Nuovo Testamento la testimonianza è sempre collegata all’annuncio della Resurrezione. “Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita,… quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”(1Gv. 1,1-3). La prima modalità di testimonianza è la condivisione della gioia per aver incontrato il Signore. Così Andrea a Simone: abbiamo incontrato il Messia e lo condusse da Lui. Sentire il bisogno di condividere la gioia dell’incontro è il primo livello della cartina al tornasole dell’autenticità della nostra vocazione e del nostro essere discepoli del Signore. Una seconda modalità di testimonianza è dare sapore, insaporire di cristianità la nostra vita quotidiana, il nostro operare, le nostre relazioni, in una parola portare in tutte le cose il lievito del vangelo perché faccia crescere il bene che è presente in ogni uomo e lo orienti a Cristo. Una terza modalità di testimonianza sta nell’illuminare, nel fare luce, nell’essere di orientamento a chi ci sta vicino, specie oggi in un’epoca di disorientamento, di confusione. Sembra strano, senza volere eccedere in posizioni integraliste, dove trovare oggi la verità delle cose, il senso dell’agire, la spiegazione ai tanti perché, alla domanda di valori, che, purtroppo solo i pronunciamenti legislativi, e gli opinions makers hanno la superba presunzione di poter soddisfare? Il discepolo di Cristo è chiamato ad essere testimone di luce, a brillare con la sua condotta di vita per aiutare gli altri a ritrovare la strada maestra. L’ultimo livello della cartina di tornasole è la gloria di Dio, quando si rende gloria a Dio, quando, cioè, si riconosce la paternità di Dio, quando gli uomini si rivolgono a Dio chiamandolo Padre, allora la nostra missione è compiuta. Dobbiamo chiederci: oggi incontriamo persone che hanno il coraggio di esporsi, di prendere posizione, quando vien loro chiesto di testimoniare? Quanto è misero il non so, il non ho visto, è l’omertà fatta sistema, è l’avanzare inesorabile dell’ipocrisia. Maria Maddalena, la cui testimonianza di donna nel mondo giudaico non era credibile, non ha paura, corre spinta solo dall’amore per il suo Maestro; torna dal sepolcro vuoto e diventa presenza del Risorto nel gruppo dei Dodici e porta con sé Pietro e Giovanni, non per la conferma, ma per condividere la gioia della Resurrezione. E io? come io sono testimone di Cristo risorto? E’ una domanda che mi interpella, ogniqualvolta la vita quotidiana, le relazioni interpersonali, gli impegni professionali si impongono a me come quel terreno arido che è bisognoso dell’acqua viva, come quel terreno arato che aspetta la semina dei semi buoni, in altre parole, il Signore Risorto mi chiede di essere suo testimone, cioè, mediatore e segno visibile e storico della sua presenza, operatore di gesti di speranza possibile. Egli mi chiama perché si fida di me e mi affida un compito entusiasmante: continuare con la mia vita a rendere presente e viva la sua Resurrezione!

Buona Pasqua, ricca di speranza e di vita nuova!

Don Paolo

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Marzo 2018

… mentre ero in viaggio … (At. 22,6)

La parola di questo mese di marzo: viaggio. Il viaggio è metafora della vita! Vi è un momento di partenza, la nascita e, per noi che crediamo, vi è la meta, il punto di arrivo: l’incontro e la comunione eterna con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Viaggiare nella sua origine semantica latina indica tutto ciò che è necessario per il viaggio, il viatico. Chi non si mette in viaggio, non vive, e per vivere al meglio, bisogna attrezzarsi bene. Il viaggio quaresimale, ci offre gli strumenti idonei: la preghiera, il digiuno, l’elemosina. Ancora di più, come metafora della vita, il cammino quaresimale è un tempo forte, uno spazio privilegiato per intensificare e arricchire il cammino. Quante volte nella Sacra Scrittura i termini cammino e camminare sono riferiti al Signore Gesù che fa del cammino lo stile, la modalità del suo ministero. Ancora più radicale è la sua volontà di andare a Gerusalemme: “… prese la ferma decisione di mettersi in cammino…”(Lc. 9, 51) Gli eventi straordinari della Storia della Salvezza che evocano l’incontro di Dio con l’uomo, accadono, quasi sempre, durante il viaggio, il cammino, perché il primo a mettersi in cammino verso l’uomo è Dio!!! Così è stato per l’apostolo Paolo: “…mentre ero in viaggio verso Damasco…” (At.22,6) è proprio in quel cammino che accade l’incontro del Signore Risorto con Saulo. E ancora, dopo la Resurrezione, “… due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus….” (Lc. 24,14), proprio in quel cammino, nel Viandante sconosciuto i due incontrano il Risorto che scalda il loro cuore si appassionano e scoprono la bellezza dell’appartenenza al gruppo dei discepoli. Mi viene da pensare e concludere che l’uomo, per natura, è viandante, viaggiatore: homo viator! Quanta letteratura, classica e contemporanea ritrae l’uomo viaggiatore, curioso di conoscere, di incontrare; basti pensare all’Ulisse di Omero, di Dante, di Joyce e di altri. Non è il viaggio virtuale oggi disponibile su internet, sarebbe riduttivo. Non è il viaggio del ritorno a casa, del riparo nel porto sicuro. E’ il viaggio del gusto della scoperta, del piacere della meraviglia, dello stupore dell’incontro con Colui che il Risorto, il Veniente, il sempre Primo e Ultimo, il Nuovo. E’ il viaggio verso l’irripetibile, che richiede un’attrezzatura straordinaria: la forza del dominio di sé, che nasce dalla coscienza di una chiamata; la gioia della condivisione, che esprime l’appartenenza a un popolo in cammino, per noi cristiani, un popolo peregrinante, non nomade e girovagante, ma diretto a una mèta: il Regno di Dio; la serenità della sosta, che si rinfranca all’ascolto della Parola e al convito eucaristico. Dimmi, dove vai, verso quale mèta cammini e scoprirò che ho incontrato un altro fratello con cui camminare insieme.

Con l’entusiasmo della fede verso la Pasqua!

Don Paolo

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07 Febbraio 2018

 

Interverranno:

- Elvira Celano e Antonio Demilito (Resp. Ufficio Diocesano Pastorale Familiare)
- Dora Dell'Orco e Vincenzo Aversa (Capi Scout Agesci TA2)
- Valeria Basile e Dany Colucci (Equipe Ufficio Dicoesano Pastorale Vocazionale)
- Pasquale Massafra (Vice Presidente Dioesano Adulti Azione Cattolica)

     

Febbraio 2018

“Sono allenato a tutto e per tutto” (Fil. 4,11-12)

Una parola oggi pronunciata è resilienza. Vorrei richiamare la nostra attenzione sulla sua utilizzazione nell’ambito spirituale personale e in quello comunitario ecclesiale. A primo acchito pensiamo alla resilienza come alla capacità di adattamento di fronte alle difficoltà. Infatti questo vocabolo appartiene originariamente al lessico della tecnologia metallurgica: la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi si applicano; pertanto tutto il contrario di fragilità. Applicato alla condizione dell’uomo, la persona resiliente, completamente opposta a quella fragile, mostra tutta la sua capacità di adattamento alle situazioni, la capacità di riorganizzazione della vita, di ricostruirsi nel rispetto della propria identità dopo l’esperienza di fragilità e di negatività. Nel nostro percorso di appartenenza a Cristo e alla Chiesa, spesso viene interpellato il nostro modo di pensare e di agire, talvolta si sperimenta la conflittualità relazionale, o peggio ancora l’incomprensione e perfino l’emarginazione. Ciò può avvenire anche nella comunità cristiana. Ma non si possono trascurare i momenti e le esperienze di sofferenze, e di fragilità nella vita familiare e personale. Fare propria questa dimensione interiore della resilienza, offre la possibilità di ricominciare e dare senso anche a ciò che procura dispiacere trasformando la criticità in opportunità di crescita e di maturazione. Se questo avviene a livello personale, altrettanto si può affermare di un gruppo o di una comunità. Nelle dinamiche relazionali del gruppo si incontrano momenti di grande successo e momenti di stagnante mediocrità; non basta fare discernimento e verifiche su ciò che non va, cercandone le cause e progettando le soluzioni. C’è bisogno di uno star-up comunitario che faccia ripartire il gruppo, nel trasformare l’impasse in una nuova capacità di adattamento: questa la resilienza comunitaria. Sta per iniziare il tempo liturgico della Quaresima: tempo di ascolto della Parola e di serio discernimento della propria vita di fede, per un rinnovato processo di conversione. Sono tante le occasioni di grazia che ci vengono offerte per realizzare il cambiamento che, come già detto, consiste nella capacità di saper cogliere nella vita quotidiana quei segni che ci parlano della presenza di Dio: segni che ci interpellano, ci impongono una decisione concreta. Mi riferisco in particolare al criterio di giudizio nelle scelte quotidiane. Perché mi comporto in questo modo? Quale il significato ultimo del mio agire? Quale il fine della mia vita? E ancora: nel vivere il mio essere parte di una famiglia più grande, la Chiesa, l’umanità, come mi approccio a cambiamenti culturali e sociali che mi coinvolgono in nuove emergenze umanitarie? La Quaresima è il tempo dell’essenzialità, della condivisione, della cura della interiorità. Un impegno e un augurio: spezziamo il pane dell’amore, della verità, dell’accoglienza, con chi ci sta vicino e non abbiamo paura o ritrosia a guardare negli occhi chi ci sta di fronte. Il modello biblico di riferimento è l’apostolo Paolo, che nella sua vita ha incontrato tante difficoltà e in tutte è stato sempre capace di superarsi con la certezza che “tutto posso in colui che mi da forza”, dal momento che il Signore Risorto gli ha detto: “è nella tua debolezza che si manifesta la mia potenza”.

Buona Quaresima !

Don Paolo

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Gennaio 2018

“E io di Cristo” (1Cor.1,13)

Tanti ricorderanno come nel passato, spesso per individuare una persona la si collegava alla figura paterna. Anche Gesù di Nazareth era indicato come il Figlio di Giuseppe il falegname. Identità e appartenenza sono strettamente interdipendenti: la prima ha fondamento nella seconda, quest’ultima sostiene e promuove la prima. Infatti nel processo di sviluppo della personalità l’individuazione del singolo passa necessariamente attraverso l’appartenenza. Se, da una parte il bisogno di autonomia e di separazione favorisce lo sviluppo del singolo,dall’altra, il bisogno di relazione e di appartenenza garantisce realmente tale sviluppo. Oggi, purtroppo, un esasperato senso dell’io, radicalizzato nell’individualismo, ha reso fluida l’appartenenza, trasformandola da valore fondativo a valore strumentale. Tant’è che l’appartenere ad un altro è vissuto con relativismo: sto, fino a quando mi sta bene. Ciò accade anche nella vita della Chiesa, quando si scambia il fine con il mezzo. Il fine è la ragione dell’appartenenza e questa è solo Gesù Cristo, la pietra angolare del grande edificio della Chiesa; il mezzo è l’esperienza del gruppo, del movimento, dell’associazione, delle persone che aiutano a vivere la relazione fondamentale: quella con Cristo. Questa dinamica fa crescere nella comunione e garantisce l’unità del corpo ecclesiale. Anche ai tempi dell’apostolo Paolo, nella Comunità cristiana di Corinto si vivono diverse appartenenze: “Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo, «Io invece sono di Apollo, «Io invece di Cefa, «E io di Cristo. È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?”(1Cor.1,11-13). Sono cristiano, perché sono di Cristo! Vivere l’appartenenza a Cristo alimenta l’impegno al servizio, giustifica la presenza, anima la testimonianza: tutto per Cristo, perché tutto di Cristo. In questa prospettiva di appartenenza, è chiaro il fondamento della Chiesa in cui ogni cristiano entra a far parte attraverso il Battesimo e cresce e matura attraverso l’Eucaristia. San Paolo ha trasmesso questa dottrina alla quale dobbiamo continuamente ispirarci per non correre invano o come battitori liberi, ed evitare pseudo-appartenenze che sono soltanto legami a persone, o a ruoli e servizi gratificanti. Non possiamo ridurre l’appartenenza alla Chiesa come ad un composée floreale, ma la dobbiamo pensare come un giardino fiorito, con tanti e variopinti fiori, diversi per colori e dimensioni ma alimentati sempre e solo dallo stesso humus. L’appartenenza a Cristo e alla Chiesa valorizza le diverse espressioni aggregative facendo risaltare l’originalità di ciascuna nella partecipazione e nella condivisone dell’unica missione ecclesiale: essere plugo di incontro degli uomini con Cristo. L’appartenenza a Cristo e alla Chiesa libera dalla tentazione di adesione a un leader (tanti oggi si impongono come tali divenendo non solo punto di riferimento ma mediatori di dottrina e di morale), tanto che si lega il proprio servizio, la propria presenza nella Chiesa alla persona del leader: passa il leader e trovi il vuoto nel gruppo e nella comunità. E’ quanto mai opportuno, innescare all’interno della comunità un processo di centralizzazione cristologica, attraverso la catechesi, la liturgia, la pietà popolare e la cura degli ambienti liturgici; ciò per aiutare a focalizzare la centralità di Cristo nella vita della Chiesa e del cristiano. Quando ci rechiamo in Chiesa, il nostro primo gesto di fede sia l’adorazione a Gesù Sacramentato, presente nel Tabernacolo, la nostra venerazione della Parola di Gesù, collocata sull’ambone, da dove viene proclamata durante l’Azione liturgica. Nella vita comunitaria intensifichiamo la nostra appartenenza con la condivisione di iniziative che facciano risaltare la testimonianza di S. Teresa del B.G. e dei suoi Santi Genitori: ad essi si ispirino le nostre famiglie e ciascuno di noi, perché ci possano riconoscere dovunque siamo, come quelli “di Santa Teresa”. Impariamo ad avere sempre fisso nel nostro pensare e nel nostro operare, l’unico fine: crescere nella comunione, nell’unità, per la gloria di Dio. L’appartenenza alla comunità parrocchiale si arricchisce e si completa nell’appartenenza alla Chiesa diocesana che ha nel Vescovo il suo principio di unità. Allargando il nostro sguardo e condividendo concretamente le iniziative diocesane, si fa forte in noi il sentire con la Chiesa universale. All’inizio del nuovo anno partiamo tutti insieme per la maratona dello Spirito che è il vero protagonista della storia della Chiesa e ci proietta verso orizzonti nuovi e inesplorati.

Don Paolo

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Aspettando il Natale 2017

Riflessioni sull'Avvento

Riprende anche quest'anno l'ormai consueto appuntamento con le riflessioni sull'Avvento a cura del nostro Parroco Mons. Paolo Oliva.

Direttamente sul nostro canale Youtube, su Facebook e Twitter si potra' trovare ogni settimana un pensiero che ci accompagnerà per tutta la settimana.

 

 

 

Dicembre 2017

…il desiderio del mio cuore... (Rm 10,1)

“Verrà il giorno in cui vi mancherà una sola cosa, e non sarà l’oggetto del vostro desiderio, ma il desiderio.” (M.Jouhandeau) Ci auguriamo che quel giorno sia molto lontano e non giunga mai. L’umanità nel corso della storia ha sempre desiderato, e il desiderio è stato il motore, l’anima della ricerca, del progresso. Da sempre ha desiderato la pace, la giustizia: la pace come condizione di vita, la giustizia come sintesi dei beni fondamentali. Storicamente circa 4000 anni fa si hanno i primi segni di questo grande desiderio e nascono i movimenti nella storia degli uomini come tanti sentieri che confluiscono in un grande strada verso una méta tanto attesa e desiderata: il Principe della Pace, nasce a Betlemme di Giudea. Il mondo vive in pace, ma non quella desiderata, la pace del silenzio dei sonagli dei cavalli da guerra. Il Principe della Pace nasce, ma ancora oggi l’umanità sperimenta l’assenza di pace. Nel cuore del singolo uomo c’è un desiderio profondo non sempre decifrabile ed espresso, spesso confuso con i tanti bisogni, primari e indotti. Il desiderio alberga nel più intimo del cuore dell’uomo, ne rileva e qualifica l’identità, tanto da poter dire: dimmi, cosa desideri e ti dirò chi sei. Da dove nasce il desiderio? Dalla consapevolezza della mancanza di qualcosa che ci appartiene e la cui mancanza ci spinge all’azione. Esiste il desiderio perché esiste ciò che lo soddisfa. L’oggetto del desiderio si identifica con il volere il bene più grande che per l’uomo è la felicità, sintesi di tutti gli altri beni fondamentali. La società dei consumi estingue il desiderio, perché da sfogo ai bisogni la cui soddisfazione elimina ogni sacrificio, ogni conquista, ogni impegno a migliorare se stessi. Il desiderio non va confuso con il bisogno, né tantomeno va identificato con i sogni. Il desiderio ha ciò che lo soddisfa, per questo è giustificato e incentivato lo sforzo, l’impegno a raggiungere e ottenere la cosa desiderata. Il sogno è utopia e il suo oggetto non è raggiungibile perché è pura fantasia. Per questo è ricorrente l’espressione sognare ad occhi aperti, proprio per dare quella presunta concretezza reale al sogno, che per sua natura non ha. Occorre ri-educare al desiderio, al gusto dell’impegno per soddisfarlo. Si tratta di guardare a quel mondo dell’interiorità della persona, così grande, così ricco, così complesso, che solo qualcosa di altrettanto grande e ricco può portarlo alla luce. Nell’uomo c’è un desiderio fondamentale, che, soddisfatto, lo conduce alla pienezza della gioia, della felicità, della vita: il desiderio di vedere Dio, il desiderio, cioè, di trovare la risposta ai suoi interrogativi. Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il grande umanista di tutti i tempi, S. Agostino, quando parla del cuore inquieto, si riferisce all’insopprimibile desiderio di vedere Dio. Dio si fa vedere, si è fatto vicino, lo puoi incontrare: si è fatto Bambino a Betlemme!

Buon Natale e sereno Anno Nuovo!

Don Paolo

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Novembre 2017

A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto (1Cor.15,3)

Ogni vocazione porta con sé un vissuto, una storia che precede e si proietta nel futuro. Nessuno è un puntino accidentale nella storia dell’universo. L’esistenza di un essere umano è come l’esistenza di un edificio, come la vita di un albero; ciò che è importante sono le fondamenta per l’edificio, le radici per l’albero. Ciò che è decisivo per lo sviluppo, rimane nascosto, non si vede, così per lo sviluppo e la crescita dell’essere umano. Le sue radici: l’educazione ricevuta, i valori assimilati, la tradizione religiosa, l’ambiente culturale, in una parola, l’eredità trasmessa. È opportuno fermarsi e considerare che l’essere umano va compreso nella sua collocazione spazio-temporale, e riflettere sul senso della storia non come una realtà compiuta, frammentata, insignificante ma come la compagnia di umani carichi dell’esperienza del passato in cammino verso la scoperta di nuove possibilità, il raggiungimento di nuovi orizzonti. La collocazione storica della persona è la condizione di partenza per la costruzione del Sé, la costruzione di una personalità fondata, radicata, orientata. È un lavoro lento ma necessario per la costruzione dell’io maturo. Questa riflessione nasce dal bisogno di focalizzare l’essenziale, in un contesto di dispersione relazionale, di frammentazione culturale, di spaesamento esistenziale. Sorgono inevitabilmente alcune domande: da dove vengo, cosa mi precede, cosa ho ricevuto? quali valori e stili di vita caratterizzano l’habitat in cui sono cresciuto? Nel processo di maturazione dell’io, quale l’incidenza di ciò che ho ricevuto e di ciò che sto trasmettendo? Nella “filiera” della storia della Salvezza, l’esistenza della persona è un evento originale e significativo, il suo compito nella storia è indelegabile, pena la sua non realizzazione e il rallentamento del processo storico. “Di generazione in generazione” (Gen. 17,7, Sal. 89,2, Lc. 1,50) si manifesta la misericordia, l’amore di Dio verso ogni uomo, che non solo è destinatario ma anche comunicatore e trasmettitore di questo amore. In questa riflessione si nasconde un’amara constatazione, una sofferenza non detta: come coniugare l’esigenza della trasmissione con la mentalità anti-life del nostro tempo? Le parole “di generazione in generazione” sottolineano una legge fondamentale della successione storica: la continuità tra genitori e figli. La tentazione ricorrente delle nuove generazioni è: vivere senza preoccuparsi molto della eredità culturale del passato e senza tormentarsi per il futuro, ma accontentarsi di ciò che la vita quotidiana offre. Un popolo senza radici o che lascia perdere le radici, è un popolo ammalato cronico, le cui possibilità di guarigione sono limitate. Lasciamoci ammaestrare dalla natura rispettandone le leggi per un autentico progresso dell’umanità. Nella natura fisica, come in quella umana, il radicamento è fondamentale, l’orientamento è manifestativo dello sviluppo, la fecondità è la conferma, la verità della crescita e la proiezione nel futuro. Il frutto porta con sé il seme di un nuovo processo. Riscopriamo la gioia, l’entusiasmo, il bisogno di trasmettere quello che abbiamo ricevuto: la vita, la fede, la tradizione, e saremo grati, in questo mese di novembre, a coloro che ci hanno preceduto e favoriremo la crescita di coloro che ci seguono. La testimonianza dell’apostolo Paolo ci sollecita in questa direzione: “A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto…” (1Cor. 15,3).

Don Paolo

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Nuovo Confessionale

Inaugurato il nuovo Confessionale

In data 28 Settembre 2017, nell'ambito dei festeggiamenti in onore di S. Teresa del Bambin Gesù, è stato inaugurato il confessionale della nuova Chiesa.

L'opera, benedetta dal Parroco Mons. Paolo Oliva, va a completare gli arredi del nuovo tempio eretto dedicato alla Santa nel 2010.

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Festeggiamenti S. Teresa 2017

 

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Ottobre 2017

“Ti ho chiamato per nome”

“…ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” Is. 43,1. La vocazione è la prima parola che l’Arcivescovo ci ha consegnato all’inizio di questo nuovo anno pastorale. Vocazione per il profeta Isaia è chiamare per nome, è l’esperienza di un incontro, di una grazia che ci precede, di una gratuità di appartenenza. Mi chiama chi mi considera suo, prima ancora della mia risposta. Mi chiama per nome mia madre, perché mi ha generato; mi chiama per nome il maestro perché appartengo al suo gruppo-classe; mi chiama per nome l’educatore perché ha cura di me; mi chiama per nome l’amico perché cammina sulla mia stessa strada; mi chiama per nome il Padre perché mi ha pensato da sempre, mi ama da sempre e mi ha chiamato all’esistenza. La vocazione è atto di amore gratuito che precede la risposta dell’uomo; è il flusso vitale nel quale l’uomo scopre la sua identità, il senso della propria vita, il significato del suo impegno nella storia. La vocazione avviene nelle situazioni più svariate della vita e nei momenti più impensabili e sconvolge il chiamato perché lo sollecita ad una conversione, a un rincentrarsi su chi lo chiama: Il profeta Amos è chiamato mentre segue il gregge (Am.7,14-15): Abramo è chiamato a emigrare sulla parola di un Dio che non conosce (Gn.12,1); mentre perseguita i discepoli di Cristo per Saulo avviene lo sconvolgimento della sua vita che vedrà con occhi nuovi: quelli del Risorto (At.9,5ss); l’esattore delle imposte chiamato nello svolgimento del suo contestato lavoro (Lc.5,27): la fanciulla di Nazaret, di nome Maria, è chiamata nella normalità della vita quotidiana (Lc.1,30ss); durante la preghiera della comunità lo Spirito chiama i missionari del Vangelo (At.13,2). Anche nella vita dei Santi la vocazione segue la stessa dinamica: la sorprendente irruzione di Dio nella vita dell’uomo; così anche nella vita di ciascuno di noi. È motivo di letizia interiore fare memoria del momento in cui abbiamo avvertito la chiamata, abbiamo incrociato lo sguardo di Gesù che penetrava nel nostro mondo interiore, abbiamo sentito il posarsi della sua mano sulla nostra spalla che incoraggiava a prendere il largo. Quando qualcuno mi chiede: cos’è per te la vocazione, la mia risposta: l’esplosione della Grazia, dell’Amore di Dio che si manifesta nella vita di un uomo, di una donna che si vede coinvolto in una dimensione esistenziale superiore, oltre la natura umana, immerso in un mistero di cui percepisce solo qualcosa, ma trasformato, è investito di una missione non sua e molto più grande di lui. Cosa ha fatto la Grazia nella vita di Francesco d’Assisi? Ha trasformato un giovane ricco e promettente, in un fratello universale, cantore del creato, innamorato della povertà, con lo sguardo di Cristo crocifisso verso tutti. Quanto ha realizzato la Grazia nella vita nascosta di Teresa di Lisieux, insignificante per il mondo ma preziosissima davanti a Dio, sorella dei missionari, maestra di vita spirituale e dispensatrice di favori celesti: la pioggia di rose. Chi è chiamato, non è chiamato per se stesso, ma per gli altri. La vita diventa servizio al prossimo! Iniziamo il nuovo anno pastorale riscoprendo la nostra vocazione, alla vita, alla fede, al servizio nella Chiesa e nella comunità degli uomini. Assumere questa consapevolezza aiuta a guardare al futuro con più fiducia e più entusiasmo perché siamo coinvolti in una progettualità di grazia di cui siamo destinatari e collaboratori.

Buon Anno Pastorale!

Don Paolo

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Prime Comunioni 28 maggio 2017

La prima Comunione, l'inizio di un nuovo cammino nella lunga strada della Fede

 

Foto Prime Comunioni 28.05.2017  

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