Aprile 2019
… tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. (Gv. 13,35)
Mentre continuiamo il nostro cammino verso la Pasqua, entriamo nel vivo dell’esperienza del discepolato, dal momento che Gesù salendo a Gerusalemme unisce sempre di più alla sua vita i suoi discepoli. Un invito a condividere con Lui i momenti cruciali della sua vita terrena, che segnano l’inizio della nostra salvezza. Tra questi ricordiamo in particolare l’Ultima Cena: il quadro dell’intimità più profonda di Gesù con i suoi. Mentre sono a tavola per fare memoria della Pasqua ebraica, Gesù, rivolgendosi ai suoi, come a completamento della suo e3ssere maestro, dichiara solennemente che i suoi sono discepoli nella misura in cui si ameranno reciprocamente. La misura alta dell’essere discepoli è l’amore reciproco come imitazione dell’amore di Cristo per noi. Per tre anni i discepoli hanno seguito il Maestro, hanno ascoltato il suo insegnamento, sono stati con Lui e sono stati da Lui inviati per annunciare la buona notizia. Per noi il cammino quaresimale è il tempo propizio per riscoprire la nostra identità di discepoli; all’origine del nostro essere cristiani c’è il suo sguardo, il suo invito a seguirLo. È l’esperienza di un dono, non meritato, inaspettato, coinvolgente, che abbiamo accolto con gioia. Un dono che porta in sé un’esigenza insopprimibile: non restare nascosto in una custodia dorata, ma donato agli altri. Nella misura in cui faccio della mia vita un dono per gli altri comincio a vivere da discepolo di Cristo. Per giungere a questo traguardo è necessario stare con Lui nell’ascolto della sua Parola, nel presentare le nostre difficoltà, i nostri fallimenti:”perché noi non siamo riusciti…”(Mt,17,19); nell’invocare una relazione nuova con il Padre: “Signore, insegnaci a pregare…”(Lc. 11,2). Ma in concreto, cosa comporta per noi il vivere da discepoli, quali sono le esigenze e le modalità: la radicalità (le volpi hanno le loro … Lc, 9,58) indietro), l’essenzialità (non procuratevi né sacca da viaggio né due tuniche … Mt. 10,10), la perseveranza (Nessuno che mette mano all’aratro e si volge indietro … Lc, 9,62). La modalità del vivere da discepoli è data dalla testimonianza stessa del Maestro: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” Gv. 13,14. Il servizio reciproco è semplice utopia, un ideale irrealizzabile? La parola di Gesù chiede la collaborazione responsabile dei credenti perché si incarni nella storia e costruisca la comunità. Il discepolo vive la pienezza del servizio nel dono di sé e nell’imitazione del Maestro che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc. 10,45). Così il servizio diventa l’espressione concreta dell’amore del discepolo, il cui fondamento è l’amore stesso di Cristo e il cui spazio di visibilità è la comunità cristiana e la comunità degli uomini. Queste settimane teniamo fisso il nostro sguardo al Crocifisso, per celebrare la Pasqua dell’amore di Dio per l’umanità nel sacrificio del Figlio e nel dono dello Spirito Santo; la Pasqua dell’amore dei discepoli del Risorto che diffondono il profumo dell’amore di Dio e lo rendono contemporaneo.
Buona Pasqua, ricca di speranza e di amore!
Don Paolo
Marzo 2019
Alla scuola di Gesù… (Mc. 3,14)
La quaresima tempo liturgico favorevole all’ascolto. La Chiesa ci invita a creare spazi e luoghi idonei all’ascolto della Parola. In altre parole, a metterci alla scuola di Gesù Maestro e rientrare nel nostro atteggiamento di suoi discepoli per essere da Lui ammaestrati nella Verità. Pensare all’essere discepoli, ci fa ritornare ai tempi dell’infanzia quando andare a scuola significava vivere la meravigliosa relazione educativa tra il maestro e i discepoli: gli scolari. Ma qui c’è ben di più di un maestro di professione, c’è il Maestro che insegna con autorità. Dedicheremo il tempo della Quaresima all’approfondimento dell’essere discepoli di Cristo, partendo dalle testimonianze bibliche per dare maggiore visibilità alla nostra sequela di Cristo nel vissuto quotidiano. Le cinque domeniche di quaresima ci aiuteranno a soffermarci sui diversi aspetti del discepolato: 1. Quale l’identità del discepolo: la chiamata da parte di Gesù; 2. Come si diventa discepoli: stare con Gesù; 3. Quali sono le esigenze del discepolato, essenzialità, radicalità, perseveranza; 4. La modalità dell’essere discepolo: servire; 5. Come si riconosce un discepolo di Cristo: dall’amore verso tutti. Nel Vangelo rimbalza il novum del discepolato cristiano; non è il discepolo a scegliere il maestro come avveniva per i discepoli che volevano frequentare la scuola di Socrate, ma è il Maestro, Gesù di Nazareth a chiamare al suo seguito (Lc. 5,10-11; 5,27; 6,13). La risposta alla chiamata è vissuta nello stare con Gesù (Mc. 3,14) e si comprende subito che essere discepoli di Cristo, stare alla sua scuola, comporta la condivisione della sua vita. Non vi è spazio per un’appartenenza intellettualistica, riducendo la sequela ad una mera accettazione dell’insegnamento evangelico, senza una conversione autentica e un nuovo stile di vita. Il cammino della Quaresima va vissuto nell’andare dietro a Cristo, percorrendo la sua strada e allenandosi a rinunciare a se stesso per giungere all’estasi del Calvario per affermare, con l’apostolo Paolo, nella gioia della Pasqua. “non vivo più io, ma Cristo vive in me”(Gal, 2). Qui è il paradosso del discepolo di Cristo: pur restando se stesso, immette un principio nuovo nella sua vita; il principio nuovo è Cristo, il suo insegnamento, il suo esempio. Accogliamo con gioia le proposte spirituali che sono attivate, sia nella Chiesa diocesana che nella comunità parrocchiale, partecipando con frutto alle diverse iniziative. Non trascuriamo le opere penitenziali proprie della Quaresima da sempre raccomandate dalla Chiesa: preghiera, digiuno, elemosina. Con la prima, intensifichiamo i nostri spazi personali di ascolto della Parola; con il secondo, impegniamoci a modalità visibili di essenzialità, riducendo il facile ricorso alle banalità sui social, agli avventati giudizi e pregiudizi sul prossimo; con la terza, attiviamoci per azioni concrete di condivisione dei beni materiali e spirituali con chi è nel bisogno. La partecipazione alle celebrazioni quaresimali e alle tradizioni religiose popolari aiuti a crescere in una fede adulta.
Dietro a Cristo con l’entusiasmo della fede verso la Pasqua! Buona strada!
Don Paolo
08 Febbraio 2019
Festa della Famiglia 2018
Gennaio 2019
“E fu battezzato nel Giordano” ( Mc. 1,9)
“Da battezzati a discepoli”, il secondo motivo di riflessione formativa che l’Arcivescovo ci ha consegnato in questo anno pastorale, ci accompagnerà nel nostro impegno comunitario fino a Pasqua. Il primo battezzato è Gesù che con il suo battesimo al fiume Giordano da parte di Giovanni il battezzatore, ha dato vita al nuovo Popolo di Dio: Egli l’Unigenito, l’amato del Padre, in cui ha posto il suo compiacimento. Non possiamo comprendere il nostro battesimo se non consideriamo il battesimo di Gesù. Il battesimo costituisce l’inizio dell’avventura della nostra fede, in esso, infatti, diventiamo figli di Dio ed entriamo a far parte della Chiesa, nuovo Popolo di Dio. Il battesimo cancella in noi la colpa del peccato d’origine e ci inserisce nel dinamismo della vita trinitaria, per questo siamo battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tale dinamismo sta a indicare che il battesimo è il momento di partenza da cui l’essere stato costituito figlio di Dio esige, una progressiva consapevolezza del dono ricevuto, attraverso una quotidiana realizzazione della grazia ricevuta nel vissuto storico di ciascuno. Dall’appartenenza anagrafica alla Chiesa, all’appartenenza reale e vissuta. Nella sua umanità, Gesù di Nazareth al Giordano riceve l’investitura a Messia e comprende quale la sarà la sua missione e la modalità con cui questa sarà attuata. Egli è il Messia che si fa carico della condizione di peccato dell’umanità, diventando peccato per noi, per riscattarci dal peccato. Sarà il Servo sofferente, annunciato dal profeta Isaia, il cui dono di Sé fino alla morte in croce darà all’uomo la Vita nuova. A questo compimento Egli giungerà al termine del suo viaggio a Gerusalemme, dopo aver affrontato incomprensioni e persecuzioni fino a provare turbamento di fronte alla sua morte, tanto da dire: “Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Gv. 12,27; e sulla croce, Gesù dirà: “tutto è compiuto” Gv. I Vangeli attestano il cammino di Gesù nella presa di coscienza del suo essere il Messia e della sua risposta alla volontà del Padre. Pensiamo alla sua prima esperienza nel Tempio di Gerusalemme all’età di dodici anni; nella sua risposta a Maria sua madre, stupita delle sue parole, Gesù manifesterà la sua identità di Figlio di Dio: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro” Lc. 2,49-50. E nel Vangelo di Giovanni, nel pieno della sua vita pubblica, Gesù dichiara: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” Gv. 4,34. Egli comprendeva che la volontà del Padre era la salvezza dell’umanità e che avrebbe comportato la sua morte in croce, come supremo atto di amore a Dio e agli uomini. Il periodo di formazione alla missione per Gesù è stata la sua familiarità vissuta con Maria e Giuseppe a Nazareth, fino alla sua manifestazione pubblica. A Nazareth, Gesù è stato introdotto alla conoscenze delle Sacre Scritture e alla Tradizione ebraica; Da Maria e Giuseppe ha imparato la pratica della vita religiosa e ha assimilato le virtù umane del dialogo, del rispetto, della condivisione e della sensibilità verso i poveri e lo scarto umano della società. A Nazareth Gesù ha imparato la fatica del lavoro quotidiano, il sacrificio come ricerca dell’essenziale, la corresponsabilità nella gestione della vita familiare; da ciò emerge la maturazione della sua persona nella fedeltà a Dio e nella fedeltà al prossimo. Nella presa di coscienza della sua figliolanza divina Gesù si rivela come l’uomo perfetto, il modello di ogni uomo. All’inizio del nuovo anno civile, sentiamoci stimolati ad una maggiore consapevolezza del nostro essere cristiani, cioè discepoli di Cristo e suoi imitatori. La radice, il fondamento della nostra vita cristiana è il battesimo che abbiamo ricevuto sin da piccoli. Dobbiamo ravvivare il dono ricevuto, perché la grazia della vita nuova operi e si manifesti nella vita di ogni giorno, tanto che l’appartenenza a Cristo sia sperimentato nel vissuto concreto di ogni giorno. Nel giorno del Natale, san Leone Magno ci invitava con queste parole: “Riconosci cristiano la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro… Con il Sacramento del Battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo”. ( Dai Discorsi di S. Leone Magno, papa). La nostra gratitudine al Signore per il nuovo anno e il nostro impegno a valorizzare il tempo che ci viene donato per operare il bene verso tutti!
A tutti auguro ogni bene!
Don Paolo
Dicembre 2018
…Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza,… 2Ts 2,13
L’invito alla gioia per il Signore che viene si fa spazio nel nostro cuore perché andiamo incontro al Natale. L’Avvento, nel suo svolgersi come tempo di grazia, tra profezia e compimento, ci sollecita ad approfondire e a comprendere la grazia della nostra elezione da parte di Dio Padre. Egli ci ha scelti come “primizia”, come destinatari primi del suo dono di amore, come primo frutto dell’opera compiuta da Gesù suo Figlio. Gesù Cristo è la primizia, per eccellenza, perché Egli è il Primogenito della nuova creazione. Ed è proprio in Lui che noi siamo stati eletti, siamo stati orientati alla salvezza. Il tempo liturgico dell’Avvento richiama a noi le virtù cristiane della vigilanza, dell’operosità, della condivisione. Mi permetto di offrire a tutti alcuni suggerimenti. Il primo: fare spazio in noi per preparare e accogliere il Signore che viene. Ciò esige una libertà interiore che ci aiuta a discernere, a capire gli ingombri che ostacolano il fare spazio. E questi riguardano i nostri comportamenti individualistici, i nostri interessi materiali, le nostre occupazioni affaristiche. Quanto è bello vivere nella libertà per andare con libertà verso gli altri. Il secondo: usare con parsimonia i beni materiali, per scoprire la gioia della condivisone con i fratelli che sono in necessità. Pensiamo alle contraddizioni di questo periodo: tante luminarie con apparati artistici illuminano le strade delle nostre città, e nello stesso tempo, quanto buio, quanta oscurità nei nostri animi, nei nostri cuori. La parsimonia ci spinge a farci dono concreto per gli altri, per essere tutti illuminati dalla luce della fraternità, dell’amicizia, dei doni scambiati. Il terzo: fissare il nostro sguardo sul Bambino Gesù per sperimentare la gioia di essere da Lui guardati e amati. Il nostro sguardo si allarga alla sua famiglia terrena: la famiglia di Maria e di Giuseppe. La gioia del Natale che viene e che incontriamo negli occhi innocenti dei nostri bambini, negli occhi imploranti di chi non ha un tetto, negli occhi penetranti dei nostri saggi anziani, ci aiuta a riscoprire la gioia dello stare insieme, la felicità di essere amato e di amare, la bellezza della nascita del Bambino Gesù, che si fa presente nel cuore di chi ama. Nel nostro cammino ci accompagna la Vergine Immacolata, la Donna dell’attesa che nella sua vita terrena ha visto l’inizio del compimento e che attende ora con la Chiesa il compimento finale. Auguro a tutta la Comunità e a ciascuno un buon cammino di Avvento e un Santo Natale !
Don Paolo
Novembre 2018
… ora voi siete popolo di Dio (1Pt. 2,10)
Tutti noi battezzati siamo Popolo di Dio. Papa Francesco parla di popolo fedele di Dio; popolo fedele perché crede, perché si mantiene fedele a Dio, alla sua alleanza e ‘conserva il deposito della fede’.
Il cristiano, discepolo di Cristo, prende coscienza della sua fede nell’esperienza dell’appartenenza al popolo. Nasce nel popolo di Dio, col Battesimo; cresce, si forma, matura nel popolo di Dio con i sacramenti della Cresima e dell’Eucaristia. Il discepolo di Cristo contribuisce a far crescere il popolo di Dio con il suo servizio, il suo ministero, la sua testimonianza. La dimensione relazionale è costitutiva della persona umana, essa è iscritta nel disegno della creazione, tanto che il Concilio Vaticano II insegna che: “… Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, …” LG, 9.
Oggi si confonde o si identifica l’appartenenza al popolo con il populismo: le reminiscenze scolastiche ci ricordano che la deriva della democrazia è la demagogia, che sembra il termine più adatto a spiegare il moderno populismo, come movimento culturale e politico in cui il ruolo del popolo è evanescente, facilmente assorbito dal leader. In tale contesto si accentua l’esasperazione individualista e l’affermazione dei bisogni e degli interessi del singolo da soddisfare ad ogni costo. Pertanto, è quanto mai necessario e improcrastinabile meditare, studiare, approfondire l’ecclesiologia del Vaticano II, in particolare le costituzioni: Lumen Gentium sulla natura della Chiesa e sull’identità del cristiano, e la Gaudium et Spes sulla presenza della Chiesa nel società contemporanea. Il grande Papa del Concilio, da poco canonizzato, Paolo VI, ci insegna e ci testimonia il suo amore alla Chiesa, mostrandocela come il Popolo pellegrinante nella storia in cui tutti i battezzati, figli di Dio, vivono l’appartenenza alla Chiesa legati da vincoli di amore fraterno, impegnati a testimoniare l’amore di Dio per l’umanità, facendosi prossimo ad ogni uomo e donna. Il popolo fedele non è riducibile ad una categoria sociologica ma è il luogo teologico in cui si manifestano le meraviglie del Signore e che trova la sua realizzazione in una concreta comunità di fedeli, che in essa scoprono la chiamata alla fede e nella condivisione dei beni della salvezza rispondono con entusiasmo alla missione ricevuta. In questo mese di novembre, la Chiesa ci invita alzare il nostro sguardo di contemplazione a quella parte del Popolo fedele che già partecipa della pienezza della vita, della gloria: i santi ci precedono nella Gerusalemme celeste e alimentano la nostra speranza, sono i nostri compagni di viaggio nel pellegrinaggio terreno verso il Regno. Visitando i fratelli defunti nei nostri cimiteri, facciamo memoria della loro vita cristiana e della loro testimonianza di fede, rendendo grazie al Signore, per l’eredità spirituale che ci hanno lasciato.
Don Paolo
Festeggiamenti S. Teresa del B.G. 2018
Ottobre 2018
«In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo…» (Ef 1,4-5)
Iniziamo il nuovo Anno pastorale invitati dal nostro Arcivescovo a meditare sulle nostre origini, per rispondere ad uno degli interrogativi più frequenti che l’uomo si pone: da dove veniamo? Veniamo dal caso? Siamo il risultato di un processo evolutivo a noi sconosciuto? Per noi cristiani la nostra origine sta nel’atto elettivo di Dio che da sempre ci ha pensati e ci ha voluti. Contemplando il suo Unigenito Figlio, ci ha amati in Lui e ci ha scelti ad essere immagine del suo Figlio. All’origine della nostra esistenza, singola e comunitaria, un infinito atto di amore di Dio che ci ha resi partecipi della sua stessa natura, tanto da essere capaci di amare come Lui. L’esistenza dell’uomo: un’avventura entusiasmante, fatta di meraviglia, di stupore, di scoperte! L’amore di Dio, senza alcuna nostra pretesa o rivendicazione, ci chiama per nome, ci costituisce, cioè, davanti a Dio come persone che entrano in dialogo con Lui. Ci ricorda l’Arcivescovo: “ All’origine c’è un amore che sceglie e che predilige. Non ci diamo la vita da soli; è questo amore eterno che ci fa essere”. Tale affermazione, ben comprensibile nella prospettiva religiosa della vita, si rivela nel corso degli anni, quando si fa chiara la trama del progetto di Dio nella vita dell’uomo. Col passare degli anni, si tocca con mano quanto il Signore va operando nella vita di ciascuno. Un progetto di predilezione, di amore preveniente, di salvezza, di missione. Come Mosè, come Maria, anche noi rispondiamo: “Eccomi”. Continua l’Arcivescovo: “Questo è il metodo di Dio: sceglie Abramo, Mosè e poi Maria per darci Gesù, l’Eletto, e quindi sceglie gli apostoli, i discepoli, la Chiesa per giungere a tutti i popoli della terra. Il Signore sceglie alcuni per giungere a tutti, di incontro in incontro”. L’elezione divina attende la risposta libera dell’uomo che comporta l’assunzione di responsabilità nella propria vita e nella vita della comunità cristiana. Il servizio ecclesiale, infatti, è la risposta alla chiamata di Dio. Questa dinamica è a fondamento di ogni ministero, vissuto con umiltà, generosità, perseveranza e gratitudine. Santa Teresa di Gesù Bambino ha scoperto la sua elezione, quando, da piccola, contemplando con il suo papà il cielo stellato, nella costellazione di Orione a forma di T, ha intuito la predilezione e la sua elezione divina. Seguendo il suo esempio, pensiamo all’evento che nella nostra vita ci ha fatto scoprire che Dio ci ama da sempre, e rinnoviamo l’entusiasmo della nostra adesione a Lui.
Buon Anno Pastorale!
Don Paolo
Giugno 2018
Vacanze … tempo dello Spirito!
Si avvicina l’estate e si pensa alle vacanze. È bello ritornare sui passi che hanno segnato il nostro anno pastorale:la vocazione,. l’appartenenza, la testimonianza, parole-chiave consegnate a noi dall’Arcivescovo. Insieme a queste, il nostro cammino ha incontrato delle pietre miliari: generazione, resilienza, desiderio, speranza, viaggio, per le quali abbiamo compreso il bisogno di fermarci a riflettere e condividere insieme le sollecitazioni al nostro spirito. Un invito, un suggerimento: dedicare un po’ del relax estivo alla cura del proprio spirito. Lo spirito ha bisogno di particolare attenzione, di “cibi esotici” difficilmente in commercio, non si comprano nemmeno nei grandi supermercati. L’alimentazione dello spirito ha un ambiente fuori del comune: il silenzio; una modalità essenziale: la meditazione; dei tempi da rispettare: la preghiera calma e tranquilla. Aver cura della propria interiorità cominciando a contemplare l’Infinito, nel quale i desideri di ciascuno trovano origine e prendono forma e muovono all’azione. Aver cura della propria interiorità per scoprire la bellezza del possedere se stessi nell’atto di riconoscere che siamo posseduti da un Altro, vincendo ogni deriva di spaesamento, di confusione e di disorientamento, con lo sguardo fisso al Punto fermo: Cristo Signore, Via, Verità e Vita. Aver cura della propria interiorità per gustare ciò che è essenziale nella vita, ciò che è autentico nelle relazioni, ciò che è orientato alla méta, la felicità. Allora vale pena dedicare un po’ del proprio tempo alla palestra interiore per la ginnastica dello spirito, per vivere in modo alternativo il meritato tempo delle vacanze. Dovunque, il suono di una campana, la presenza di una chiesa, di una croce, di un’edicola religiosa, ridestano la dimensione dello spirito; assecondala, perché il piacere interiore è indescrivibile, ma facilmente comunicabile; dalla serenità del tuo volto, dalla pacatezza del tuo parlare, dalla disponibilità ad ascoltare, sarà arricchito chiunque ti incontrerà. E ritornando all’ordinarietà della vita, tutto assumerà un nuovo significato. Viviamo l’estate come tempo di grazia per vivere nuovi incontri, per dedicarci al servizio e alla condivisione, per allargare gli orizzonti del pensiero e leggere in profondità la realtà che ci circonda e non trascurare le occasioni per fare del bene a chi ci passa accanto.
Fraternamente
Don Paolo
20 Maggio 2018
“Celebrazione Eucaristica ore 19.00"
La Comunità di Santa Teresa del B.G. è in festa! La nostra gratitudine al Signore per il dono del Sacerdozio a don Giuseppe e per la sua gioiosa fedeltà a Cristo e alla Chiesa. La nostra Gioia che vogliamo condividere con mamma Elvira e i suoi familiari, i suoi amici, avrà il suo momento più significativo nella Celebrazione eucaristica presieduta da don Giuseppe il 20 maggio alle ore 19.00 nella nostra Chiesa che lo ha visto crescere nella fede e maturare nella vocazione e ha goduto delle primizie del suo sacerdozio. La mia letizia di parroco sarà ancora più grande se vedrò la partecipazione massiccia della Parrocchia e di tanti amici che in questi anni hanno condiviso con noi e con don Giuseppe una tratto del loro cammino cristiano (amici dell'Azione Cattolica, del Movimento Studenti di AC, della Fuci e tanti ancora).
Dite a don Giuseppe il vostro affetto e la vostra amicizia, sin d'ora con la preghiera, e il 20 maggio con la presenza. vi aspetto per fare festa tutti insieme! con fraterna cordialità.
Diretta Facebook S. Messa dalle ore 19.00
Don Paolo
Maggio 2018
“pronti a rendere ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15)
E’ fuori moda parlare oggi di speranza, specialmente di fronte al fallimento delle utopie ideologiche che erano state predicate come la vera ed unica salvezza per l’uomo. Qualche decennio fa, si identificava utopia con speranza e si sperava in un mondo migliore, in cui sarebbe regnata la giustizia e l’uguaglianza tra gli uomini. Condannata a morte la speranza cristiana ed ostracizzata come illusione dall’universo umano perché falsa consolazione, ora non si sente più pronunciare neanche la parola utopia. Forse l’uomo è stato depauperato di una dimensione fondamentale della sua esistenza: il futuro, lo sguardo e l’impegno per il futuro? Probabilmente, sì! L’immanentismo imperante ha chiuso la persona umana nell’assolutizzazione del presente, senza le radici del passato e le aperture del futuro. Così riesco a spiegarmi lo spaesamento, il disorientamento di chi non ha radici; come comprendo anche il perché del non senso diffuso. Mi chiedo: nel nostro contesto culturale trovano ancora spazio gli interrogativi originari, chi sono, da dove vengo, dove vado? Probabilmente, no! Non vi sembra questa la malattia dello spirito, che in diverso modo, miete tante vittime? Eppure, è connaturale all’uomo, il dinamismo, il movimento che implicano un passaggio, un prima e un poi; è nella sua natura fisica, e perciò anche nella sua natura spirituale. L’uomo ha bisogno di riappropriarsi del suo passato e di aprirsi al futuro per vivere pienamente il presente. La speranza è propria del cristianesimo e trova il fondamento nella Pasqua di Cristo: inizio di vita nuova. Quando sembrava tutto finito, quando ogni aspettativa era svanita dietro alla pietra rotolata a chiusura del sepolcro, quando le paure dei capi erano state cancellate, allora accadde un fatto nuovo, inspiegabile: il sepolcro era vuoto! Da quel momento, nel Nome di Gesù Risorto viene ridata la vita, donata la guarigione, sconfitto il male! La misericordia del Padre abbraccia ogni uomo che ritrova il coraggio di lottare e di continuare. San Giovanni Paolo II ci ricorda:”Al di fuori della misericordia di Dio non c’è nessun’altra fonte di speranza per gli esseri umani”. La speranza non si riduce a sognare qualcosa di indefinibile, ma si identifica con il desiderio di scoprire l’inesauribile potenziale umano, capace di migliore se stessi e la vita degli altri. Possiamo pensare la speranza come la virtù cristiana, che, condivisa, impegna i cristiani a tracciare nel presente della storia i solchi per tessere nella maglie della convivenza umana la trama della giustizia. “Ogni volta che un uomo difende un ideale, agisce per migliorare il destino degli altri, o lotta contro un’ingiustizia, trasmette una piccola onda di speranza”(B. Kennedy). Se vuoi crescere e allenarti alla speranza, fissa il tuo sguardo negli occhi di un bambino e scoprirai che il futuro si costruisce impegnandoti a farlo crescere senza tradirlo con il tuo sterile ancoraggio al passato. Affidiamo alla maternità di Maria Santissima questo mese di maggio perché la sua testimonianza ci solleciti ad essere uomini di speranza, pronti a scorgere all’orizzonte i segni della presenza dello Spirito che soffia dove vuole. .
Fraternamente, nell’attesa della Pentecoste
Don Paolo
Aprile 2018
… e di me sarete testimoni…fino ai confini della terra (At.1,8)
“Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?” sono le parole che cantiamo nella sequenza di Pasqua. Maria Maddalena ha visto il Risorto e corre ad annunciarlo ai suoi amici, chiusi nel Cenacolo per paura dei Giudei: Il testimone è colui che ha visto, ha incontrato, ha sperimentato e annuncia. La testimonianza è un bisogno del cuore di voler partecipare la gioia incontrata, un moto dell’intelligenza di far conoscere la verità posseduta. Nel Nuovo Testamento la testimonianza è sempre collegata all’annuncio della Resurrezione. “Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita,… quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”(1Gv. 1,1-3). La prima modalità di testimonianza è la condivisione della gioia per aver incontrato il Signore. Così Andrea a Simone: abbiamo incontrato il Messia e lo condusse da Lui. Sentire il bisogno di condividere la gioia dell’incontro è il primo livello della cartina al tornasole dell’autenticità della nostra vocazione e del nostro essere discepoli del Signore. Una seconda modalità di testimonianza è dare sapore, insaporire di cristianità la nostra vita quotidiana, il nostro operare, le nostre relazioni, in una parola portare in tutte le cose il lievito del vangelo perché faccia crescere il bene che è presente in ogni uomo e lo orienti a Cristo. Una terza modalità di testimonianza sta nell’illuminare, nel fare luce, nell’essere di orientamento a chi ci sta vicino, specie oggi in un’epoca di disorientamento, di confusione. Sembra strano, senza volere eccedere in posizioni integraliste, dove trovare oggi la verità delle cose, il senso dell’agire, la spiegazione ai tanti perché, alla domanda di valori, che, purtroppo solo i pronunciamenti legislativi, e gli opinions makers hanno la superba presunzione di poter soddisfare? Il discepolo di Cristo è chiamato ad essere testimone di luce, a brillare con la sua condotta di vita per aiutare gli altri a ritrovare la strada maestra. L’ultimo livello della cartina di tornasole è la gloria di Dio, quando si rende gloria a Dio, quando, cioè, si riconosce la paternità di Dio, quando gli uomini si rivolgono a Dio chiamandolo Padre, allora la nostra missione è compiuta. Dobbiamo chiederci: oggi incontriamo persone che hanno il coraggio di esporsi, di prendere posizione, quando vien loro chiesto di testimoniare? Quanto è misero il non so, il non ho visto, è l’omertà fatta sistema, è l’avanzare inesorabile dell’ipocrisia. Maria Maddalena, la cui testimonianza di donna nel mondo giudaico non era credibile, non ha paura, corre spinta solo dall’amore per il suo Maestro; torna dal sepolcro vuoto e diventa presenza del Risorto nel gruppo dei Dodici e porta con sé Pietro e Giovanni, non per la conferma, ma per condividere la gioia della Resurrezione. E io? come io sono testimone di Cristo risorto? E’ una domanda che mi interpella, ogniqualvolta la vita quotidiana, le relazioni interpersonali, gli impegni professionali si impongono a me come quel terreno arido che è bisognoso dell’acqua viva, come quel terreno arato che aspetta la semina dei semi buoni, in altre parole, il Signore Risorto mi chiede di essere suo testimone, cioè, mediatore e segno visibile e storico della sua presenza, operatore di gesti di speranza possibile. Egli mi chiama perché si fida di me e mi affida un compito entusiasmante: continuare con la mia vita a rendere presente e viva la sua Resurrezione!
Buona Pasqua, ricca di speranza e di vita nuova!
Don Paolo
Marzo 2018
… mentre ero in viaggio … (At. 22,6)
La parola di questo mese di marzo: viaggio. Il viaggio è metafora della vita! Vi è un momento di partenza, la nascita e, per noi che crediamo, vi è la meta, il punto di arrivo: l’incontro e la comunione eterna con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Viaggiare nella sua origine semantica latina indica tutto ciò che è necessario per il viaggio, il viatico. Chi non si mette in viaggio, non vive, e per vivere al meglio, bisogna attrezzarsi bene. Il viaggio quaresimale, ci offre gli strumenti idonei: la preghiera, il digiuno, l’elemosina. Ancora di più, come metafora della vita, il cammino quaresimale è un tempo forte, uno spazio privilegiato per intensificare e arricchire il cammino. Quante volte nella Sacra Scrittura i termini cammino e camminare sono riferiti al Signore Gesù che fa del cammino lo stile, la modalità del suo ministero. Ancora più radicale è la sua volontà di andare a Gerusalemme: “… prese la ferma decisione di mettersi in cammino…”(Lc. 9, 51) Gli eventi straordinari della Storia della Salvezza che evocano l’incontro di Dio con l’uomo, accadono, quasi sempre, durante il viaggio, il cammino, perché il primo a mettersi in cammino verso l’uomo è Dio!!! Così è stato per l’apostolo Paolo: “…mentre ero in viaggio verso Damasco…” (At.22,6) è proprio in quel cammino che accade l’incontro del Signore Risorto con Saulo. E ancora, dopo la Resurrezione, “… due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus….” (Lc. 24,14), proprio in quel cammino, nel Viandante sconosciuto i due incontrano il Risorto che scalda il loro cuore si appassionano e scoprono la bellezza dell’appartenenza al gruppo dei discepoli. Mi viene da pensare e concludere che l’uomo, per natura, è viandante, viaggiatore: homo viator! Quanta letteratura, classica e contemporanea ritrae l’uomo viaggiatore, curioso di conoscere, di incontrare; basti pensare all’Ulisse di Omero, di Dante, di Joyce e di altri. Non è il viaggio virtuale oggi disponibile su internet, sarebbe riduttivo. Non è il viaggio del ritorno a casa, del riparo nel porto sicuro. E’ il viaggio del gusto della scoperta, del piacere della meraviglia, dello stupore dell’incontro con Colui che il Risorto, il Veniente, il sempre Primo e Ultimo, il Nuovo. E’ il viaggio verso l’irripetibile, che richiede un’attrezzatura straordinaria: la forza del dominio di sé, che nasce dalla coscienza di una chiamata; la gioia della condivisione, che esprime l’appartenenza a un popolo in cammino, per noi cristiani, un popolo peregrinante, non nomade e girovagante, ma diretto a una mèta: il Regno di Dio; la serenità della sosta, che si rinfranca all’ascolto della Parola e al convito eucaristico. Dimmi, dove vai, verso quale mèta cammini e scoprirò che ho incontrato un altro fratello con cui camminare insieme.
Con l’entusiasmo della fede verso la Pasqua!
Don Paolo
07 Febbraio 2018
Interverranno:
- Elvira Celano e Antonio Demilito | (Resp. Ufficio Diocesano Pastorale Familiare) |
- Dora Dell'Orco e Vincenzo Aversa | (Capi Scout Agesci TA2) |
- Valeria Basile e Dany Colucci | (Equipe Ufficio Dicoesano Pastorale Vocazionale) |
- Pasquale Massafra | (Vice Presidente Dioesano Adulti Azione Cattolica) |
Febbraio 2018
“Sono allenato a tutto e per tutto” (Fil. 4,11-12)
Una parola oggi pronunciata è resilienza. Vorrei richiamare la nostra attenzione sulla sua utilizzazione nell’ambito spirituale personale e in quello comunitario ecclesiale. A primo acchito pensiamo alla resilienza come alla capacità di adattamento di fronte alle difficoltà. Infatti questo vocabolo appartiene originariamente al lessico della tecnologia metallurgica: la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi si applicano; pertanto tutto il contrario di fragilità. Applicato alla condizione dell’uomo, la persona resiliente, completamente opposta a quella fragile, mostra tutta la sua capacità di adattamento alle situazioni, la capacità di riorganizzazione della vita, di ricostruirsi nel rispetto della propria identità dopo l’esperienza di fragilità e di negatività. Nel nostro percorso di appartenenza a Cristo e alla Chiesa, spesso viene interpellato il nostro modo di pensare e di agire, talvolta si sperimenta la conflittualità relazionale, o peggio ancora l’incomprensione e perfino l’emarginazione. Ciò può avvenire anche nella comunità cristiana. Ma non si possono trascurare i momenti e le esperienze di sofferenze, e di fragilità nella vita familiare e personale. Fare propria questa dimensione interiore della resilienza, offre la possibilità di ricominciare e dare senso anche a ciò che procura dispiacere trasformando la criticità in opportunità di crescita e di maturazione. Se questo avviene a livello personale, altrettanto si può affermare di un gruppo o di una comunità. Nelle dinamiche relazionali del gruppo si incontrano momenti di grande successo e momenti di stagnante mediocrità; non basta fare discernimento e verifiche su ciò che non va, cercandone le cause e progettando le soluzioni. C’è bisogno di uno star-up comunitario che faccia ripartire il gruppo, nel trasformare l’impasse in una nuova capacità di adattamento: questa la resilienza comunitaria. Sta per iniziare il tempo liturgico della Quaresima: tempo di ascolto della Parola e di serio discernimento della propria vita di fede, per un rinnovato processo di conversione. Sono tante le occasioni di grazia che ci vengono offerte per realizzare il cambiamento che, come già detto, consiste nella capacità di saper cogliere nella vita quotidiana quei segni che ci parlano della presenza di Dio: segni che ci interpellano, ci impongono una decisione concreta. Mi riferisco in particolare al criterio di giudizio nelle scelte quotidiane. Perché mi comporto in questo modo? Quale il significato ultimo del mio agire? Quale il fine della mia vita? E ancora: nel vivere il mio essere parte di una famiglia più grande, la Chiesa, l’umanità, come mi approccio a cambiamenti culturali e sociali che mi coinvolgono in nuove emergenze umanitarie? La Quaresima è il tempo dell’essenzialità, della condivisione, della cura della interiorità. Un impegno e un augurio: spezziamo il pane dell’amore, della verità, dell’accoglienza, con chi ci sta vicino e non abbiamo paura o ritrosia a guardare negli occhi chi ci sta di fronte. Il modello biblico di riferimento è l’apostolo Paolo, che nella sua vita ha incontrato tante difficoltà e in tutte è stato sempre capace di superarsi con la certezza che “tutto posso in colui che mi da forza”, dal momento che il Signore Risorto gli ha detto: “è nella tua debolezza che si manifesta la mia potenza”.
Buona Quaresima !
Don Paolo
Gennaio 2018
“E io di Cristo” (1Cor.1,13)
Tanti ricorderanno come nel passato, spesso per individuare una persona la si collegava alla figura paterna. Anche Gesù di Nazareth era indicato come il Figlio di Giuseppe il falegname. Identità e appartenenza sono strettamente interdipendenti: la prima ha fondamento nella seconda, quest’ultima sostiene e promuove la prima. Infatti nel processo di sviluppo della personalità l’individuazione del singolo passa necessariamente attraverso l’appartenenza. Se, da una parte il bisogno di autonomia e di separazione favorisce lo sviluppo del singolo,dall’altra, il bisogno di relazione e di appartenenza garantisce realmente tale sviluppo. Oggi, purtroppo, un esasperato senso dell’io, radicalizzato nell’individualismo, ha reso fluida l’appartenenza, trasformandola da valore fondativo a valore strumentale. Tant’è che l’appartenere ad un altro è vissuto con relativismo: sto, fino a quando mi sta bene. Ciò accade anche nella vita della Chiesa, quando si scambia il fine con il mezzo. Il fine è la ragione dell’appartenenza e questa è solo Gesù Cristo, la pietra angolare del grande edificio della Chiesa; il mezzo è l’esperienza del gruppo, del movimento, dell’associazione, delle persone che aiutano a vivere la relazione fondamentale: quella con Cristo. Questa dinamica fa crescere nella comunione e garantisce l’unità del corpo ecclesiale. Anche ai tempi dell’apostolo Paolo, nella Comunità cristiana di Corinto si vivono diverse appartenenze: “Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo, «Io invece sono di Apollo, «Io invece di Cefa, «E io di Cristo. È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?”(1Cor.1,11-13). Sono cristiano, perché sono di Cristo! Vivere l’appartenenza a Cristo alimenta l’impegno al servizio, giustifica la presenza, anima la testimonianza: tutto per Cristo, perché tutto di Cristo. In questa prospettiva di appartenenza, è chiaro il fondamento della Chiesa in cui ogni cristiano entra a far parte attraverso il Battesimo e cresce e matura attraverso l’Eucaristia. San Paolo ha trasmesso questa dottrina alla quale dobbiamo continuamente ispirarci per non correre invano o come battitori liberi, ed evitare pseudo-appartenenze che sono soltanto legami a persone, o a ruoli e servizi gratificanti. Non possiamo ridurre l’appartenenza alla Chiesa come ad un composée floreale, ma la dobbiamo pensare come un giardino fiorito, con tanti e variopinti fiori, diversi per colori e dimensioni ma alimentati sempre e solo dallo stesso humus. L’appartenenza a Cristo e alla Chiesa valorizza le diverse espressioni aggregative facendo risaltare l’originalità di ciascuna nella partecipazione e nella condivisone dell’unica missione ecclesiale: essere plugo di incontro degli uomini con Cristo. L’appartenenza a Cristo e alla Chiesa libera dalla tentazione di adesione a un leader (tanti oggi si impongono come tali divenendo non solo punto di riferimento ma mediatori di dottrina e di morale), tanto che si lega il proprio servizio, la propria presenza nella Chiesa alla persona del leader: passa il leader e trovi il vuoto nel gruppo e nella comunità. E’ quanto mai opportuno, innescare all’interno della comunità un processo di centralizzazione cristologica, attraverso la catechesi, la liturgia, la pietà popolare e la cura degli ambienti liturgici; ciò per aiutare a focalizzare la centralità di Cristo nella vita della Chiesa e del cristiano. Quando ci rechiamo in Chiesa, il nostro primo gesto di fede sia l’adorazione a Gesù Sacramentato, presente nel Tabernacolo, la nostra venerazione della Parola di Gesù, collocata sull’ambone, da dove viene proclamata durante l’Azione liturgica. Nella vita comunitaria intensifichiamo la nostra appartenenza con la condivisione di iniziative che facciano risaltare la testimonianza di S. Teresa del B.G. e dei suoi Santi Genitori: ad essi si ispirino le nostre famiglie e ciascuno di noi, perché ci possano riconoscere dovunque siamo, come quelli “di Santa Teresa”. Impariamo ad avere sempre fisso nel nostro pensare e nel nostro operare, l’unico fine: crescere nella comunione, nell’unità, per la gloria di Dio. L’appartenenza alla comunità parrocchiale si arricchisce e si completa nell’appartenenza alla Chiesa diocesana che ha nel Vescovo il suo principio di unità. Allargando il nostro sguardo e condividendo concretamente le iniziative diocesane, si fa forte in noi il sentire con la Chiesa universale. All’inizio del nuovo anno partiamo tutti insieme per la maratona dello Spirito che è il vero protagonista della storia della Chiesa e ci proietta verso orizzonti nuovi e inesplorati.
Don Paolo
Aspettando il Natale 2017
Riflessioni sull'Avvento
Riprende anche quest'anno l'ormai consueto appuntamento con le riflessioni sull'Avvento a cura del nostro Parroco Mons. Paolo Oliva.
Direttamente sul nostro canale Youtube, su Facebook e Twitter si potra' trovare ogni settimana un pensiero che ci accompagnerà per tutta la settimana.
Dicembre 2017
…il desiderio del mio cuore... (Rm 10,1)
“Verrà il giorno in cui vi mancherà una sola cosa, e non sarà l’oggetto del vostro desiderio, ma il desiderio.” (M.Jouhandeau) Ci auguriamo che quel giorno sia molto lontano e non giunga mai. L’umanità nel corso della storia ha sempre desiderato, e il desiderio è stato il motore, l’anima della ricerca, del progresso. Da sempre ha desiderato la pace, la giustizia: la pace come condizione di vita, la giustizia come sintesi dei beni fondamentali. Storicamente circa 4000 anni fa si hanno i primi segni di questo grande desiderio e nascono i movimenti nella storia degli uomini come tanti sentieri che confluiscono in un grande strada verso una méta tanto attesa e desiderata: il Principe della Pace, nasce a Betlemme di Giudea. Il mondo vive in pace, ma non quella desiderata, la pace del silenzio dei sonagli dei cavalli da guerra. Il Principe della Pace nasce, ma ancora oggi l’umanità sperimenta l’assenza di pace. Nel cuore del singolo uomo c’è un desiderio profondo non sempre decifrabile ed espresso, spesso confuso con i tanti bisogni, primari e indotti. Il desiderio alberga nel più intimo del cuore dell’uomo, ne rileva e qualifica l’identità, tanto da poter dire: dimmi, cosa desideri e ti dirò chi sei. Da dove nasce il desiderio? Dalla consapevolezza della mancanza di qualcosa che ci appartiene e la cui mancanza ci spinge all’azione. Esiste il desiderio perché esiste ciò che lo soddisfa. L’oggetto del desiderio si identifica con il volere il bene più grande che per l’uomo è la felicità, sintesi di tutti gli altri beni fondamentali. La società dei consumi estingue il desiderio, perché da sfogo ai bisogni la cui soddisfazione elimina ogni sacrificio, ogni conquista, ogni impegno a migliorare se stessi. Il desiderio non va confuso con il bisogno, né tantomeno va identificato con i sogni. Il desiderio ha ciò che lo soddisfa, per questo è giustificato e incentivato lo sforzo, l’impegno a raggiungere e ottenere la cosa desiderata. Il sogno è utopia e il suo oggetto non è raggiungibile perché è pura fantasia. Per questo è ricorrente l’espressione sognare ad occhi aperti, proprio per dare quella presunta concretezza reale al sogno, che per sua natura non ha. Occorre ri-educare al desiderio, al gusto dell’impegno per soddisfarlo. Si tratta di guardare a quel mondo dell’interiorità della persona, così grande, così ricco, così complesso, che solo qualcosa di altrettanto grande e ricco può portarlo alla luce. Nell’uomo c’è un desiderio fondamentale, che, soddisfatto, lo conduce alla pienezza della gioia, della felicità, della vita: il desiderio di vedere Dio, il desiderio, cioè, di trovare la risposta ai suoi interrogativi. Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il grande umanista di tutti i tempi, S. Agostino, quando parla del cuore inquieto, si riferisce all’insopprimibile desiderio di vedere Dio. Dio si fa vedere, si è fatto vicino, lo puoi incontrare: si è fatto Bambino a Betlemme!
Buon Natale e sereno Anno Nuovo!
Don Paolo
Novembre 2017
A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto (1Cor.15,3)
Ogni vocazione porta con sé un vissuto, una storia che precede e si proietta nel futuro. Nessuno è un puntino accidentale nella storia dell’universo. L’esistenza di un essere umano è come l’esistenza di un edificio, come la vita di un albero; ciò che è importante sono le fondamenta per l’edificio, le radici per l’albero. Ciò che è decisivo per lo sviluppo, rimane nascosto, non si vede, così per lo sviluppo e la crescita dell’essere umano. Le sue radici: l’educazione ricevuta, i valori assimilati, la tradizione religiosa, l’ambiente culturale, in una parola, l’eredità trasmessa. È opportuno fermarsi e considerare che l’essere umano va compreso nella sua collocazione spazio-temporale, e riflettere sul senso della storia non come una realtà compiuta, frammentata, insignificante ma come la compagnia di umani carichi dell’esperienza del passato in cammino verso la scoperta di nuove possibilità, il raggiungimento di nuovi orizzonti. La collocazione storica della persona è la condizione di partenza per la costruzione del Sé, la costruzione di una personalità fondata, radicata, orientata. È un lavoro lento ma necessario per la costruzione dell’io maturo. Questa riflessione nasce dal bisogno di focalizzare l’essenziale, in un contesto di dispersione relazionale, di frammentazione culturale, di spaesamento esistenziale. Sorgono inevitabilmente alcune domande: da dove vengo, cosa mi precede, cosa ho ricevuto? quali valori e stili di vita caratterizzano l’habitat in cui sono cresciuto? Nel processo di maturazione dell’io, quale l’incidenza di ciò che ho ricevuto e di ciò che sto trasmettendo? Nella “filiera” della storia della Salvezza, l’esistenza della persona è un evento originale e significativo, il suo compito nella storia è indelegabile, pena la sua non realizzazione e il rallentamento del processo storico. “Di generazione in generazione” (Gen. 17,7, Sal. 89,2, Lc. 1,50) si manifesta la misericordia, l’amore di Dio verso ogni uomo, che non solo è destinatario ma anche comunicatore e trasmettitore di questo amore. In questa riflessione si nasconde un’amara constatazione, una sofferenza non detta: come coniugare l’esigenza della trasmissione con la mentalità anti-life del nostro tempo? Le parole “di generazione in generazione” sottolineano una legge fondamentale della successione storica: la continuità tra genitori e figli. La tentazione ricorrente delle nuove generazioni è: vivere senza preoccuparsi molto della eredità culturale del passato e senza tormentarsi per il futuro, ma accontentarsi di ciò che la vita quotidiana offre. Un popolo senza radici o che lascia perdere le radici, è un popolo ammalato cronico, le cui possibilità di guarigione sono limitate. Lasciamoci ammaestrare dalla natura rispettandone le leggi per un autentico progresso dell’umanità. Nella natura fisica, come in quella umana, il radicamento è fondamentale, l’orientamento è manifestativo dello sviluppo, la fecondità è la conferma, la verità della crescita e la proiezione nel futuro. Il frutto porta con sé il seme di un nuovo processo. Riscopriamo la gioia, l’entusiasmo, il bisogno di trasmettere quello che abbiamo ricevuto: la vita, la fede, la tradizione, e saremo grati, in questo mese di novembre, a coloro che ci hanno preceduto e favoriremo la crescita di coloro che ci seguono. La testimonianza dell’apostolo Paolo ci sollecita in questa direzione: “A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto…” (1Cor. 15,3).
Don Paolo
Nuovo Confessionale
Inaugurato il nuovo Confessionale
In data 28 Settembre 2017, nell'ambito dei festeggiamenti in onore di S. Teresa del Bambin Gesù, è stato inaugurato il confessionale della nuova Chiesa.
L'opera, benedetta dal Parroco Mons. Paolo Oliva, va a completare gli arredi del nuovo tempio eretto dedicato alla Santa nel 2010.
Festeggiamenti S. Teresa 2017
Ottobre 2017
“Ti ho chiamato per nome”
“…ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni” Is. 43,1. La vocazione è la prima parola che l’Arcivescovo ci ha consegnato all’inizio di questo nuovo anno pastorale. Vocazione per il profeta Isaia è chiamare per nome, è l’esperienza di un incontro, di una grazia che ci precede, di una gratuità di appartenenza. Mi chiama chi mi considera suo, prima ancora della mia risposta. Mi chiama per nome mia madre, perché mi ha generato; mi chiama per nome il maestro perché appartengo al suo gruppo-classe; mi chiama per nome l’educatore perché ha cura di me; mi chiama per nome l’amico perché cammina sulla mia stessa strada; mi chiama per nome il Padre perché mi ha pensato da sempre, mi ama da sempre e mi ha chiamato all’esistenza. La vocazione è atto di amore gratuito che precede la risposta dell’uomo; è il flusso vitale nel quale l’uomo scopre la sua identità, il senso della propria vita, il significato del suo impegno nella storia. La vocazione avviene nelle situazioni più svariate della vita e nei momenti più impensabili e sconvolge il chiamato perché lo sollecita ad una conversione, a un rincentrarsi su chi lo chiama: Il profeta Amos è chiamato mentre segue il gregge (Am.7,14-15): Abramo è chiamato a emigrare sulla parola di un Dio che non conosce (Gn.12,1); mentre perseguita i discepoli di Cristo per Saulo avviene lo sconvolgimento della sua vita che vedrà con occhi nuovi: quelli del Risorto (At.9,5ss); l’esattore delle imposte chiamato nello svolgimento del suo contestato lavoro (Lc.5,27): la fanciulla di Nazaret, di nome Maria, è chiamata nella normalità della vita quotidiana (Lc.1,30ss); durante la preghiera della comunità lo Spirito chiama i missionari del Vangelo (At.13,2). Anche nella vita dei Santi la vocazione segue la stessa dinamica: la sorprendente irruzione di Dio nella vita dell’uomo; così anche nella vita di ciascuno di noi. È motivo di letizia interiore fare memoria del momento in cui abbiamo avvertito la chiamata, abbiamo incrociato lo sguardo di Gesù che penetrava nel nostro mondo interiore, abbiamo sentito il posarsi della sua mano sulla nostra spalla che incoraggiava a prendere il largo. Quando qualcuno mi chiede: cos’è per te la vocazione, la mia risposta: l’esplosione della Grazia, dell’Amore di Dio che si manifesta nella vita di un uomo, di una donna che si vede coinvolto in una dimensione esistenziale superiore, oltre la natura umana, immerso in un mistero di cui percepisce solo qualcosa, ma trasformato, è investito di una missione non sua e molto più grande di lui. Cosa ha fatto la Grazia nella vita di Francesco d’Assisi? Ha trasformato un giovane ricco e promettente, in un fratello universale, cantore del creato, innamorato della povertà, con lo sguardo di Cristo crocifisso verso tutti. Quanto ha realizzato la Grazia nella vita nascosta di Teresa di Lisieux, insignificante per il mondo ma preziosissima davanti a Dio, sorella dei missionari, maestra di vita spirituale e dispensatrice di favori celesti: la pioggia di rose. Chi è chiamato, non è chiamato per se stesso, ma per gli altri. La vita diventa servizio al prossimo! Iniziamo il nuovo anno pastorale riscoprendo la nostra vocazione, alla vita, alla fede, al servizio nella Chiesa e nella comunità degli uomini. Assumere questa consapevolezza aiuta a guardare al futuro con più fiducia e più entusiasmo perché siamo coinvolti in una progettualità di grazia di cui siamo destinatari e collaboratori.
Buon Anno Pastorale!
Don Paolo